La sfida che attende Poste-Telecom

Poste sarà un azionista stabile che consentirà l’elaborazione e l’implementazione di strategie di lungo periodo. Poste e Telecom, con i loro milioni di clienti, siedono su montagne di dati, vedremo se sapranno farne tesoro

Marco Panara
Matteo Del Fante, ceo di Poste Italiane
Matteo Del Fante, ceo di Poste Italiane

L’arrivo di Poste Italiane in Telecom come azionista di riferimento è un fatto positivo. Il gruppo francese Vivendi era entrato nel 2015 e la sua partecipazione non ha fatto bene né a Vivendi, che ha perso oltre 2 miliardi di euro, né a Telecom che per dieci anni ha avuto un azionariato conflittuale che ha reso discontinue la gestione e le strategie.

Poste sarà un azionista stabile che consentirà l’elaborazione e l’implementazione di strategie di lungo periodo, mentre le sinergie da fatturato e da costi (perché ci saranno anche queste) consentiranno di migliorare i numeri.

Per Telecom è la fine di un ciclo cominciato nel 1999 con la scalata dei capitani coraggiosi capitanati da Roberto Colaninno che comportò un drammatico aumento dell’indebitamento e lo smantellamento di buona parte del portafoglio di partecipazioni nelle consociate estere (salvo Tim Brasil) comprese quelle nel settore satellitare.

E dopo i capitani altri passaggi in un susseguirsi di azionisti aggrappati alle rendite del monopolio della rete in rame e poco propensi a investire anche perché bloccati da un debito esorbitante.

La Telecom che controllerà Poste è molto diversa da quella di 25 anni fa: è una società di servizi che non possiede più né le torri per il mobile né la rete per il fisso. Ma anche il mondo delle telecomunicazioni non è più quello di allora, quello ricco dello scatto alla risposta e degli sms a pagamento che aveva illuso su un mercato fiorente.

Internet 2.0 di lì a poco avrebbe separato di fatto l’infrastruttura dai servizi, e le telecom europee in ritardo nell’innovazione si sarebbero fatte sottrarre quelli a valore aggiunto dalle big tech americane, che macinano utili per decine di miliardi l’anno. L’effetto Internet sulla separazione tra infrastrutture e servizi si capisce bene nel confronto tra sms e Whatsapp: con i primi l’operatore conosceva il destinatario e se avesse voluto anche il contenuto, con i secondi l’operatore telefonico ci mette solo la capacità trasmissiva; destinatari, contenuti e margini finiscono tutti nella disponibilità di Meta.

Ci siamo ritrovati così, in Europa, con troppe Telecom e nessuna ricca abbastanza da poter competere con le varie Facebook, Google, Amazon. E neanche redditizia abbastanza da poter investire nell’infrastruttura, nelle reti in fibra da portare nelle case, scuole, ospedali, aziende, nel 5G, nei satelliti per i quali ora rischiamo di dipendere dalla Starlink di Elon Musk.

I governi peraltro ci hanno messo del loro, usando le aste per le frequenze mobili per fare cassa e senza alcuna strategia di politica industriale di settore né alcuna attenzione per l’innovazione, e con le autorità europee e nazionali che hanno spezzettato l’offerta favorendo una competizione forsennata. L’esito di tutto ciò è che l’Europa è in ritardo nella transizione digitale e l’Italia lo è ancora di più.

L’ingresso di Poste in Telecom non risolverà questi problemi, perché ambedue sono società di servizi che non possiedono le infrastrutture, potrà però migliorare il livello nei servizi cloud, nella cura del cliente, nella gestione dei dati, nella cybersecurity e in quanto altro valore aggiunto riusciranno a sottrarre alla voracità delle big tech.

Il secondo passo, del quale già si parla, potrebbe essere l’inizio di quella concentrazione degli operatori della quale c’è un gran bisogno se vogliamo avere un settore davvero efficiente. In questa partita Telecom con Poste potranno dire la loro da una posizione più forte inizialmente in Italia e poi magari anche in Europa, se non saranno ostacolate da nazionalismi politici che nulla hanno a che fare con gli interessi del paese.

Il grosso delle questioni aperte non sarà però alla loro portata, perché riguarderà soprattutto la capacità di investimento e di innovazione nelle infrastrutture.

Per la rete fissa, che è un monopolio naturale come la rete ferroviaria o quella elettrica di Terna, non ha senso avere due aziende che si indeboliscono a vicenda e con ciascuna che da sola non è in grado di sostenere gli investimenti richiesti per dotare il paese di una rete capillare di fibra.

Si parla da tempo di una fusione tra Fibercop e Oper Fiber e prima ci si arriverà meglio sarà. E ci vorrà una politica industriale che esprima una visione adeguata ai tempi che ci aspettano e che abbia il respiro e le risorse per portare il Paese dove dovrà essere se vogliamo non solo accrescere ma anche solo mantenere il livello di benessere al quale siamo abituati.

I tempi che ci aspettano sono quelli di Internet delle cose, dei sensori, dei dati. La competitività dei prossimi anni si costruirà intorno ai dati, alla raccolta ed elaborazione dei dati e i dati hanno bisogno di infrastrutture sulle quali correre velocissimi.

Poste e Telecom, con i loro milioni di clienti, siedono su montagne di dati, vedremo se sapranno farne tesoro.

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