Spesa militare, il nesso tra Berlino e Roma

L’incertezza tedesca può fare male all’Italia, anche se la nostra economia potrebbe ricevere ossigeno dall’impennata delle spese militari germaniche

Francesco Morosini
La Germania investe in difesa
La Germania investe in difesa

La Germania è in difficoltà. Lo confermano gli ordinativi industriali tedeschi su base mensile, ultimo dato disponibile, a gennaio crollati del 7%. È il segno evidente che l’economia di quella che fu la locomotiva economica d’Europa è in sofferenza.

In ragione di questo, a Berlino la possibile maggioranza politica postelettorale ha deciso un mega piano di spesa pubblica. La linea direttrice è la difesa. È il keynesismo militare ciò a cui punta Berlino per uscire dai guai economici. Rispetto ai quali, per ripicca, talvolta l’Italia sembra provare una sorta di Schadenfreude (piacere per la sofferenza altrui).

Un errore, se presente, perché la Penisola è legata economicamente alla Repubblica federale. Certo talvolta in maniera problematica. Ad esempio, l’incertezza che spinge all’insù i tassi d’interesse sui titoli di Stato germanici potrebbe acuire il costo del nostro debito pubblico.

La situazione presenta un quadro politico/economico cui prestare attenzione: con qualche luce ma con ombre. In primis relative alla stabilità politica della Germania. Già questo è sufficiente ad agitare le acque, trattandosi di uno dei perni su cui regge l’Ue. I mercati del denaro subito lo sottolineano, essendo termometri sensibili dei possibili guai in arrivo.

Insomma, l’impennata del tasso d’interesse sul debito decennale tedesco (significativa trattandosi del titolo finanziario risk free per definizione) dice che è lo stesso Patto di Stabilità a essere picconato sia dalla crisi di sistema politico tedesco che dai costi del riarmo europeo, oltreché germanico. I mercati del denaro fiutano guai e prestano a tassi più alti.

D’altra parte, politiche di bilancio espansive (come il progetto tedesco richiede) implicano maggiore debito pubblico e nuove spinte inflattive. Cosa che preoccupa la stessa Bce, che pure la scorsa settimana ha ancora ridotto i tassi. Merita notare che, ciò nonostante, quelli sui debiti pubblici e privati sono cresciuti; e pure l’euro si è apprezzato sul dollaro.

È forse un modo a contrario? No. Pesano i timori per tensioni geopolitiche e dazi. Come appunto conferma la crescita degli interessi sul Bund decennale tedesco. Potenzialmente un problema per Roma, dato il suo debito pubblico.

L’incertezza tedesca può fare male all’Italia, anche se va detto che la nostra economia potrebbe ricevere ossigeno dall’impennata delle spese militari germaniche. Che da noi è più difficile: lo spazio fiscale tedesco (riesca o meno il blitz politico per legittimare costituzionalmente questa fonte di spesa sottraendola alla scure della Corte di Karlsruhe) semplicemente ci manca.

Insomma, chi ha spazio fiscale sarà alla testa del gruppo; gli altri in coda.

Il riarmo europeo segue questa regola. Questi i problemi, relativi innanzitutto alla stabilità finanziaria, che potrebbero derivare per il Belpaese dal whatever it takes (in emergenza vale tutto) di bilancio pubblico tedesco.

L’ipotetico lato positivo è che gli investitori, vedendo più opportunità di business in Italia e in Europa, aprano i portafogli. Aumenterebbe così l’attrattività degli asset europei e si allenterebbe l’eccessivo nesso (pure a vantaggio di Bce) tra politica monetaria ultra-accomodante e stabilità dei mercati. Ovvero più crescita potenziale. Possibile? A decidere tra i due scenari peserà molto la dinamica euro-atlantica. Forse, quindi, il caso. —

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