La legittimità morale delle spese militari
L’Europa vuole aumentare le spese militari solo per dissuadere qualcun altro dal fare la guerra all’Europa stessa. Non ci può essere pace vera senza giustizia e libertà. Per difendere le quali è moralmente legittimo anche aumentare le spese militari, senza per questo rinnegare l’ideale pacifista


Ma davvero l’Unione europea, il più grande progetto politico di pace della storia, sta perdendo la sua anima rinunciando al pacifismo? Suvvia, nessuno in Europa preferisce vivere in guerra, sotto le bombe, invece che in pace. In Ue nessuno vuole aumentare le spese militari in nome di ideologie imperialistiche. Abbiamo già dato. Con milioni di morti, nel Novecento e anche nei secoli precedenti. L’Europa vuole aumentare le spese militari solo per dissuadere qualcun altro dal fare la guerra all’Europa stessa. Siamo tutti “pacifisti”. Anche se ci sono modi diversi di proclamarsi “per la pace”. Insomma, c’è pacifismo e pacifismo.
C’è innanzi tutto un pacifismo strumentale e “peloso”, che guarda solo alla prossima campagna elettorale per lucrare un po’ di voti. Vedere ad esempio in Italia quel Giuseppe Conte (che ha siglato, spinto da Trump, gli accordi in base a cui siamo già ora tenuti ad aumentare le spese militari) incapace di resistere a una incoercibile pulsione trasformista.
E quel Matteo Salvini per il quale la difesa, armata ovviamente, del cittadino «è sempre legittima», ma quando si aumentano le spese militari per far capire al suo amico Putin che l’Europa non intende farsi trovare impreparata, beh, allora si diventa immediatamente «guerrafondai». Il fascino (poco) discreto del populismo riavvicina ancora una volta i due dioscuri del governo giallo-verde. Ma fa proseliti anche altrove. La moneta cattiva scaccia sempre quella buona.
C’è anche un “pacifismo” di ben altro livello, che tocca questioni assai serie di etica pubblica. L’aumento delle spese militari mira a rafforzare gli eserciti nazionali con l’obiettivo di coordinarli tra loro per giungere (e questo è il punto più importante) alla costruzione di quella Comunità europea di Difesa che, sciaguratamente, fu bloccata 70 anni fa dalla Francia. Se ci si pone su questo piano assai più serio di discussione, non si può non prendere in considerazione il tema, delicato ma ineludibile, della “guerra giusta”, caso tipico della quale è la resistenza armata contro l’aggressore.
Lasciando perdere il pacifismo per esigenze elettorali di cui sopra, va riconosciuta grande dignità morale al pacifismo evangelico dei “profeti disarmati”, che, traguardando a un Regno «che non è di questo mondo», porgono l’altra guancia senza combattere, senza reagire quando il più forte aggredisce il più debole: è senz’altro nobilissimo. Ma chi ne condivide le premesse deve essere consapevole delle conseguenze.
Senza dimenticare l’ammonimento di Pio XII quando l’Italia aderì alla Nato, alla quale parte significativa dei cattolici era contraria. Li metteva sull’avviso contro la formula «pace a tutti i costi», perché la pace, disse, non nasce da «debolezza o stanca rassegnazione».
Non minore nobiltà e dignità sul piano morale ha anche la posizione dell’etica “laica” di coloro che, di fronte all’aggressione di un esercito invasore, risolvono il dilemma etico “pace o libertà?” scegliendo la resistenza armata per difendere, appunto, la propria libertà. Sulla legittimità morale prima ancora che politica di una “guerra giusta” si sono del resto espresse alcune tra le più alte coscienze della nostra storia, da Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino a Immanuel Kant.
Non ci può essere pace vera senza giustizia e libertà. Per difendere le quali è moralmente legittimo anche aumentare le spese militari, senza per questo rinnegare l’ideale “pacifista”.
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