Suicidi in carcere, dramma infinito e risposte insufficienti

A Montorio due detenuti si sono tolti la vita in poche ore. Non ha più senso parlare di emergenza. I nodi del sovraffollamento delle celle e, per contro, del personale fortemente sottodimensionato

David AllegrantiDavid Allegranti
Suicidi in crescita nelle carceri italiane
Suicidi in crescita nelle carceri italiane

Nelle fatiscenti e sovraffollate carceri italiane ci si continua a suicidare. A poche ore di distanza, due detenuti si sono tolti la vita nel carcere di Montorio, a Verona.

Le cause di un suicidio possono essere molteplici e ogni suicidio fa storia a sé, è vero, ma se in una cittadina di 62.165 abitanti, tanti quanti sono i detenuti attualmente presenti (al 28 febbraio 2025) negli istituti penitenziari, ci fossero 90 suicidi l’anno (record stabilito nel 2024; ora siamo già a 20), probabilmente ci chiederemmo con insistenza, ogni giorno, cosa sta succedendo e perché.

Magari un giorno uno studio scientifico ci spiegherà che il sovraffollamento non c’entra niente con la volontà di togliersi la vita, ma per ora possiamo chiederci se invece non sia proprio fra le cause che rendono la vita in prigione così insostenibile.

Oltretutto, il sovraffollamento non colpisce più soltanto le prigioni per adulti, ma anche gli Istituti Penali per Minorenni. È lecito domandarsi se un giorno non assisteremo a fenomeni suicidari anche tra i giovani detenuti.

Di certo non ha più senso continuare a parlare di “emergenza suicidi” in carcere perché tutto ciò che doveva emergere è già emerso. E di certo si può dire che la risposta del governo, compreso quella del ministro della Giustizia Carlo Nordio, è insufficiente. Le ragioni sono molteplici.

Tuttora, dopo le dimissioni di Giovanni Russo, non è stato individuato il nuovo capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, attualmente nelle mani di Lina Di Domenico, facente funzione. Di fronte alle critiche ricevute fin qui sulla gestione degli istituti penitenziari, Nordio in aula si è difeso ricordando che «il Ministero della Giustizia ha procurato un’integrazione di risorse pari a 5 milioni di euro per l’osservazione psicologica fondamentale per trovare i segnali di allarme in queste situazioni».

Cinque milioni di euro però sono una goccia nel mare perché, come ricordano i sindacati di Polizia Penitenziaria, nelle carceri italiane mancano anche gli agenti (e anche loro si suicidano, peraltro). Il segretario dell’Uilpa Gennarino De Fazio ricorda che mancano 18 mila agenti e «Verona, con 595 reclusi presenti a fronte di soli 318 posti disponibili, gestiti da 318 operatori di polizia penitenziaria, quando ne necessiterebbero almeno 420, si inserisce pienamente in questo contesto».

L’unica risposta del governo “concreta”, se vogliamo definirla così, sta nell’intenzione di aumentare il numero di posti in carcere. Anzitutto non si spiega quanto tempo servirebbe per costruire nuove carceri. In più, come ha spiegato di recente il presidente di Antigone Patrizio Gonnella, «se anche nei prossimi tre anni il governo riuscisse a dotare la capienza delle carceri di 7.000 nuovi posti, come dichiarato dalla presidente Meloni, avremo comunque, ad oggi, almeno altre 8.000 persone detenute senza un posto regolamentare. A questo si deve aggiungere che le persone detenute sono aumentate di oltre 2.000 unità nell’ultimo anno e di oltre 5.000 unità dal 2022».

Se il tasso di crescita fosse questo «anche nei prossimi tre anni (cosa tutt’altro che impossibile a fronte delle attuali politiche penali) è prevedibile che i 7.000 nuovi posti andranno ad assorbire i nuovi ingressi, lasciando dunque il sistema penitenziario in una condizione di affollamento cronico e drammatico come quello che si registra oggi, con circa 15.000 persone in più rispetto alla capacità del sistema stesso».

I suicidi nelle carceri, in queste condizioni, sono purtroppo destinati a proseguire.

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