Il suicidio assistito e la vergogna di sopravvivere

Ai famigliari di quella malata di sla che ha scelto il suicidio assistito dico che anche noi piangiamo su di lei e sul nostro destino di impotenti e miserabili esseri umani

Ferdinando Camon
Suicidio assistito, un nuovo caso in Veneto
Suicidio assistito, un nuovo caso in Veneto

Leggo la notizia di un suicidio assistito, qui nel Trevigiano, e mi prende una tristezza infinita. È “assistito”, quindi permesso e addirittura aiutato. A morire è una trevigiana di 72 anni, è malata di sclerosi, non poteva fare niente da sola, nemmeno (è l’esempio che cita lei, con perfida intelligenza, per farci disperare tutti), nemmeno «grattarsi il naso». Non aveva una sua vita, e dunque non ha aspettato la sua morte.

Nuovo caso di suicidio assistito in Veneto, la scelta di una donna malata di sclerosi multipla
La redazione
Il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, davanti al Consiglio regionale della Lombardia dove sono state depositate le 8181 firme raccolte per portare in Aula la proposta di legge sul fine vita, già bocciata in Veneto, per regolamentare l'aiuto medico alla morte volontaria

Molti anni fa ho scritto dei versi che in questi casi mi tornano alla mente, e dicono così: «Dà o Signore a ciascuno la sua vita, / fa che non ci siano più gli affamati di vita, / dà o Signore a ciascuno la sua morte, / fa che non ci siano più gli affamati di morte».

Non li ho mai pubblicati, ma stanno rannicchiati in un angoletto del cervello. Questa donna voleva morire, anzi era “affamata” di morte, voleva saziarsene, adesso se n’è saziata, ora non ha più fame.

Ma questa donna non era sola, viveva con noi, viveva dentro l’umanità, volendo morire ha scelto una sconfitta che è anche una sconfitta dell’umanità, non ce l’abbiamo fatta a tenerla in vita con noi.

Non dico che ci sia qui una nostra colpa. Ma c’è una nostra debolezza, un’impotenza. C’è un film francese su un suicidio, in cui il protagonista gira dall’inizio alla fine intorno all’idea di suicidarsi, e quando alla fine si suicida fornisce questa spiegazione: «Mi uccido perché non mi avete amato, / perché non vi ho amato. / Mi uccido perché i nostri rapporti non avevano un senso, / perché abbiano un senso. / Lascerò su di voi una macchia indelebile».

Lui si uccide, e per quel suicidio una macchia sporca noi tutti. Una mia amica francese, che voleva morire, chiamava questo film “le film”, “il” film per eccellenza. Lo rivedeva continuamente. Non ho notizie di quell’amica da tanto tempo, non avrà voluto lasciare su di me una macchia indelebile?

Primo Levi dice che quando un compagno di prigionia si suicidava, i compagni che sopravvivevano sentivano la vergogna di sopravvivere. Dunque esiste anche la vergogna di sopravvivere.

Noi viventi siamo stretti per mano uno con l’altro, formiamo una catena unica, non dovrebbe succedere che uno cade e gli altri restano in piedi. Il libro e film Per chi suona la campana narra una morte, la morte del protagonista, ed è preceduto da questa didascalia: «Non domandare mai per chi suona la campana, / essa suona per te». S’è suicidata con l’assistenza della Sanità, questa povera donna trevigiana, e assistendola con le sue macchine la Sanità trevigiana ha compiuto un gesto di una civiltà sublime, al limite del comprensibile, e forse oltre quel limite, ma non è una vittoria, è l’accettazione di una sconfitta.

Ai famigliari e agli amici di quella donna vorrei dire che anche noi, come loro, piangiamo su di lei, ma facendo ciò piangiamo su di noi, sul nostro destino di impotenti e miserabili esseri umani. —

 

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