Fine vita, una legge per lenire il dolore
La Regione Toscana, prima in Italia, ha approvato una legge per dare attuazione pratica ai pronunciamenti della Corte Costituzionale sul fine vita
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La Regione Toscana, prima in Italia, ha approvato una legge per dare attuazione pratica ai pronunciamenti della Corte Costituzionale sul fine vita. Per comprendere il significato di questa norma, bisogna partire dal fatto che l’Italia – alla luce delle sentenze della Corte – si colloca fra i Paesi che non permettono il suicidio assistito come diritto incondizionato, bensì come richiesta possibile sotto alcune condizioni oggettive: il paziente deve essere affetto da una patologia irreversibile con sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili, deve essere tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, deve essere pienamente capace di intendere e di volere, e deve aver espresso in modo libero e consapevole la propria volontà di ricorrere alla pratica.
In questo modo l’Italia si differenzia fortemente da Paesi come l’Olanda, la Svizzera e il Canada, in cui suicidio assistito ed eutanasia sono ottenibili su richiesta con condizioni molto meno stringenti, ma si accosta a un altro gruppo di Paesi, come gli Stati Usa del Vermont e dell’Oregon.
I dati mostrano che questi due diversi approcci portano a livelli del tutto diversi nel ricorso a questa pratica. Ad esempio, tra il 2016 e il 2021 ogni 1000 decessi non violenti in Canada ci sono stati 30,8 suicidi assistiti, nel Vermont solo 2,5 (per dati più dettagliati vedi il nostro articolo “La demografia del fine vita” pubblicato nel 2023 su Rassegna Italiana di Sociologia). Quindi, è scorretto dire che con questa legge la Toscana diventa «l’Olanda d’Italia».
La legge della Regione Toscana ha emendato la proposta di iniziativa popolare promossa dall’Associazione Coscioni in almeno due punti significativi. In primo luogo, ha definito con maggior precisione la composizione della Commissione che – in ogni Azienda sanitaria – dovrà valutare le richieste di accesso al suicidio assistito, indicando ad esempio che «la Commissione è integrata di volta in volta con un medico specialista della patologia da cui è affetta la persona che richiede l’accesso al suicidio medicalmente assistito».
Infatti, è ben diverso se la richiesta arriva da un malato terminale di cancro (la grande maggioranza: ad esempio il 64% dei casi in Olanda nel 2017-’21) o da malattie come la Sla (una piccola, dolente minoranza, ad esempio il 7% dei casi in Oregon nel 2017-’21), ed è quindi fondamentale che un medico esperto della specifica patologia faccia obbligatoriamente parte della Commissione.
In secondo luogo, nel nuovo articolo 4 bis viene indicato con chiarezza che la stessa Commissione deve «verificare in via preliminare che il richiedente abbia ricevuto una informazione chiara e adeguata sulla possibilità di accedere a un percorso di cure palliative». Questo punto è ancora più importante del precedete.
Infatti, questa frase impegna esplicitamente la Regione a garantire questo tipo di cure che – se non sono sempre in grado di lenire dolori incoercibili – in buona parte dei casi aiutano a sopportare le pene del fine vita: perché le persone non chiedono quasi mai di morire, ma chiedono sempre di non soffrire.
Le cure palliative, in Italia, lasciano purtroppo ancora molto a desiderare. Ad esempio, nel 2021 sono state prescritte solo otto cosiddette “Ddd” (dosi giornaliere) di oppiacei per mille abitanti, contro venti in Austria e in Germania. In Italia il consumo di morfina non raggiunge la metà della media europea, e il dolore grave cronico viene spesso curato con farmaci antinfiammatori, meno efficaci degli oppiacei e di norma con effetti secondari più pesanti. Inoltre, da un recente sondaggio eseguito fra i medici del Veneto, il 60% ha dichiarato di non aver mai ricevuto informazioni sulle cure palliative, e il 95% vorrebbe un’adeguata formazione in materia.
Grazie a questi emendamenti, la legge approvata in Toscana – a nostro avviso – è più vicina all’interesse del malato rispetto a quella non approvata nel Veneto, che riprendeva – senza sostanziali emendamenti – la proposta dell’Associazione Coscioni. È possibile che proprio la bocciatura nel Veneto abbia spinto il Consiglio regionale toscano a introdurre i cambiamenti succitati, giungendo a una legge ampiamente condivisa, almeno in ambito progressista.
La legge della Regione Toscana supplisce alla carenza del Parlamento, che non ha ancora risposto alla richiesta della Corte: si tratta tuttavia di una norma tecnicamente chiamata “cedevole”, la cui efficacia verrà quindi meno al momento della sperabile approvazione di una normativa nazionale. Nella scorsa legislatura, la Camera aveva approvato l’ottima legge proposta dal Partito democratico, a prima firma del parlamentare bresciano Alfredo Bazoli, impantanatasi poi in Senato. Si parta allora da questo testo, per giungere a una normativa nazionale, che eviti anche il rischio di penose migrazioni del dolore.
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