Il patto fra le big tech e Trump
Il settore hi-tech, negli Usa e in quasi tutto il mondo, si è mosso quasi del tutto indisturbato e soprattutto non regolato. Ora questa sorta di super-lobby intende ottenere precisi risultati politici per tutto un sistema di aziende
La simultanea e improvvisa “discesa in campo” di alcuni degli uomini più ricchi del mondo, tutti di colpo allineati nel sostegno a Trump pur essendo spesso in conflitto tra loro, non è stata solo un aspetto tra i più visibili dell’inaugurazione presidenziale.
Per qualcuno di loro, a cominciare da Elon Musk, è parte di una personale scalata al potere politico, che già lo ha portato a primi scontri, con la parte più conservatrice del partito repubblicano (contraria alla sua richiesta di agevolare l’immigrazione selettiva di una manodopera straniera qualificata), e con altri giganti hi-tech sul terreno dell’Intelligenza Artificiale. Ma ci sono motivazioni molto concrete che li uniscono tutti, non solo e forse non tanto come quell’“oligarchia” di cui ha parlato Biden ma come una sorta di super-lobby che intende ottenere precisi risultati politici per tutto un sistema di aziende.
L’accumulo di tanta ricchezza, in questi anni, è stato reso possibile anche e soprattutto dal fatto che il settore hi-tech, negli Usa e in quasi tutto il mondo, si è mosso quasi del tutto indisturbato e soprattutto non regolato. Ora conta sull’appoggio di Trump per evitare che il quadro cambi, anzi se possibile per sopprimere anche i pochi vincoli che si fanno sentire.
I timori riguardano la possibile applicazione di norme già esistenti ma che non sono mai state messe in atto. Prima di tutto la legislazione antitrust, varata oltre un secolo fa per controllare i grandi monopòli del tempo ferroviari e petroliferi, che accumulavano comunque ricchezze assai inferiori rispetto a quelle dei miliardari odierni.
Se per decenni Google come Meta, o Amazon, hanno potuto dominare i rispettivi ambiti distruggendo attivamente le possibili concorrenze è perché quella normativa non è stata (almeno negli Usa) mai applicata. Lo stesso vale per le leggi, anche quelle dimenticate, che prevedono la possibilità per chi è diffamato nei media di rivalersi su chi lo ha calunniato e anche su chi fa circolare le calunnie.
Ci sono poi timori che riguardano nuove legislazioni che sarebbero possibili, e doverose: per esempio una normativa che regolasse l’abuso, da parte di Meta o di X, di algoritmi che manipolano la comunicazione via social a fini politici o di maggior profitto; per esempio una normativa che imponesse realmente un controllo fattuale di quel che circola, non vagamente su basi volontarie come ha fatto Meta per un certo periodo e ora ha smesso senza problemi.
Per non parlare di una possibile legislazione sul consumo di energia, che è spaventoso nel caso dell’Intelligenza Artificiale e delle criptovalute. I giganti del web vogliono anche liberarsi delle regole dell’Unione Europea, forse confuse ma che sono servite almeno in qualche caso a imporre sanzioni.
Trump promette di battersi contro qualsiasi regolamentazione, negli Usa e altrove. E ne ha dato un segnale chiarissimo concedendo il perdono presidenziale a Ross Ulbricht, che faceva della rete l’uso più criminale: la vendita massiccia di droga. Il programma è che il web resti un’area non solo senza norme ma di assoluta impunità, anzi lo diventi in misura ancora maggiore che in passato.
Per un capitalismo che non è solo terribilmente avido ma sembra dominato dalla fretta di accumulare miliardi il più rapidamente possibile prima che la concorrenza internazionale, o l’arrivo finalmente di un sistema di regole, fermino questo arricchimento forsennato al quale nessuna democrazia e nessun sistema economico sano possono sopravvivere a lungo.
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