Il brusco risveglio dell’Occidente nell’Era della Brutalità trumpiana
La strategia di Trump sull'Ucraina, l'isolamento dell'Europa e l'ascesa del sovranismo, pongono nuove sfide per l'Unione Europea, costringendola a riflettere sulla propria autonomia politica e difensiva
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Un triplo schiaffo, quello inferto in queste tumultuose settimane dall’America trumpiana all’Europa. Colpi che fanno male, sintomi di lacerazione di uno storico rapporto e, quel che è più grave, di una non ricomponibile concezione della liberaldemocrazia.
Con un solo colpo di telefono Donald Trump vanifica, sul piano geopolitico, la strategia nordatlantica verso la Russia di Vladimir Putin degli ultimi tre anni, sacrificando l’Ucraina alla necessità di ricucire con lo “zar” del Cremlino e legittimando, così, il rinato nazionalismo granderusso.
Mossa che mette ai margini l’Europa, chiamata a serrare i ranghi da Joe Biden e che ha notevolmente contribuito allo sforzo militare di Kiev. L’accordo della Casa Bianca con il Cremlino prescinde totalmente dall’Unione europea, tanto più colpevole per non essersi ritagliata uno spazio politico autonomo nella gestione del conflitto ed essere andata totalmente a rimorchio di due Paesi alleati, ma extra-europei, come Usa e Gran Bretagna.
Di fronte alla spaesante accelerazione trumpiana, l’Europa è stordita. Non solo Putin manterrà i territori conquistati, ma Trump esige dalla Ue l’invio di truppe destinate a assicurare la sicurezza dell’Ucraina e il sostenimento del peso economico della ricostruzione.
Non prima, comunque, di aver prelevato, con lo sfruttamento delle preziose terre rare ucraine, una sorta di “imposta di guerra” che prevede anche un riarmo europeo esito di importanti commesse all’industria militare a stelle e strisce.
Il punto di vista del nuovo inquilino della Casa Bianca è netto: il mondo è affare di grandi potenze, come Usa, Russia e Cina. In questa visione non c’è spazio per la disarmata e “profittatrice” Europa, che delega i costi della sua sicurezza agli Usa, ma beneficia del loro generoso disavanzo commerciale.
La stessa decisione di usare come principio politico ordinatore i dazi, tra i quali l’ordocapitalismo in versione sovranista americana colloca imposte come l’Iva, prelude a una guerra commerciale destinata a rigerarchizzare ulteriormente i rapporti di forza tra le due sponde dell’Atlantico.
Il ritorno di Trump al numero 100 di Pennsilvanya Avenue precipita, dunque, il mondo, e l’Occidente così come l’abbiamo conosciuto dal secondo dopoguerra, nell’Era della Brutalità caratterizzata dalla fine dell’alleanza collaborativa tra Europa e Usa e del multilateralismo.
Mutamento che non ha ragioni solo geopolitiche o economiche, ma ideologiche: come si evince dall’inaudito discorso di James David Vance a Monaco. Il vicepresidente Usa, che ha dribblato ogni discorso sull’Ucraina, ha sostenuto che i pericoli per l’Europa non vengono dall’esterno, in particolare dalla Russia, ma dall’interno, dalla sua ossessione per il politicamente corretto, dalla criminalizzazione della libertà d’opinione – così ben rappresentata nelle opinioni dei social muskiani e di quelli, ormai allineati, degli altri padroni del digitale, è il poco oscuro sottotesto -, dal multiculturalismo, dalla volontà di ignorare i cittadini che votano per quei partiti di estrema destra che fanno della lotta all’immigrazione il loro cavallo di battaglia. In Germania Vance ha dato un palese saggio della nuova ideologia “inclusiva” americana , frutto del perverso connubio tra populismo trumpiano e tecnodestra, illustrando i cardini del nuovo brutal power americano.
A sigillo del discorso di Monaco - pronunciato davanti a uno scioccato uditorio di capi di governo, ministri, diplomatici, alti gradi militari, europei e fondato sull’accusa all’Europa di «tradire i propri valori»- il vicepresidente Usa ha incontrato la leader dell’Afd Alice Weidel.
Sdoganando ufficialmente l’estrema destra neonazista, a pochi giorni dalle elezioni politiche in Germania, così come aveva già fatto Elon Musk, ormai stabilmente posizionato nel cuore del potere Usa.
Almeno per i prossimi quattro anni l’Europa si misurerà con un radicale mutamento nei rapporti con gli Stati Uniti. Bisogna prenderne atto, sapendo che la convivenza sarà difficile e che il sovranismo europeo agirà da quinta colonna per impedire che l’Unione sia poco più di un’area di libero scambio.
Ma, se vuole davvero contare, l’Europa deve accentuare la dimensione sovranazionale: anche sul delicato terreno della politica estera e di difesa comune. Sapendo che è importante scorporare l’aumento delle spese militari dai vincoli di bilancio, ma non per “pagare” il disavanzo Usa, foraggiando l’industria militare americana. I costosi investimenti necessari devono essere mirati alla realizzazione del progetto di difesa europea, finanziato dalla tassazione sui grandi capitali, a partite dalle big tech: non può certo realizzarsi a scapito del già indebolito stato sociale.
Per riuscirci è necessario mettere fine al paralizzante unanimismo Ue mediante cooperazioni rafforzate, unico modo per elidere i veti sovranisti.
Senza questi cruciali passaggi l’Europa è condannata a essere un fragile vaso di coccio tra vasi di ferro imperiali.
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