L’Ucraina dirà se l’Europa c’è oppure no

Una confusa Europa cerca una via di uscita dopo che la diplomazia-lampo di Donald Trump l’ha spiazzata, mettendo nuovamente a nudo le debolezze alimentate dall’inerzia delle ventisette capitali

Marco Zatterin
Volodymyr Zelensky
Volodymyr Zelensky

Una confusa Europa cerca una via di uscita dopo che la diplomazia-lampo di Donald Trump l’ha spiazzata, mettendo nuovamente a nudo le debolezze alimentate dall’inerzia delle ventisette capitali.

L’Unione soffre l’incapacità degli Stati membri di darsi una visione efficace sul conflitto ucraino, una strategia che andasse oltre il giorno-per-giorno.

Secondo il Kiel Institute for the World Economy, il Vecchio Continente ha speso 242 miliardi per sostenere una guerra che aveva probabilità davvero ridotte di essere vinta.

I leader europei non hanno mai pensato seriamente a cercare uno spazio di negoziato, nemmeno quando le cose sul campo si mettevano meno peggio.

Non c’era fra loro intesa su altro se non sul dare armi a Zelensky nel nome dell’integrità territoriale e sperare che, combinato con le sanzioni internazionali, il fuoco convincesse Putin a fare un passo indietro.

Le capitali a dodici stelle non hanno guardato avanti, difendendo valori giusti con strumenti inadeguati. Poi è arrivato il cinico Trump che ha sparigliato e - col suo spingere l’Ue da parte e lasciando intendere che di Kiev non gliene importa un gran che -, ha convinto l’aggressore Putin a valutare un armistizio che potrà vendere come una vittoria. Si vedrà.

A proteggere le prerogative e le virtù del patto comunitario sono rimaste le istituzioni e il francese Macron, il più europeista di tutti, e non solo per opportunità politica.

Il resto dei leader ha altro per la testa, non sa cosa fare, o semplicemente non gli interessa più di tanto, visto oltretutto che l’opinione pubblica accoglierebbe la fine delle ostilità con sollievo, senza badare al prezzo ulteriore che pagheranno gli ucraini.

The Donald ha disorientato i partner europei, telefonando allo zar Vladimir senza dirlo a nessuno. Adesso il patriota ungherese Orbán definisce «inutile e triste» che Bruxelles chieda di essere in gioco e, al solito, critica l’Unione come se lui non ne facesse parte. Berlino è distratta dalle elezioni, Roma non è pervenuta.

È prevedibile che l’Europa partecipi al negoziato di pace. Ma qual è il piano? Cosa faranno i governi, che poi sono quelli che decidono? Sui tavoli bruxellesi circola qualche idea. Per prima cosa, si tratta di immaginare una forza di pace a dodici stelle.

Si può poi rinunciare all’opzione Nato, ma non si deve interrompere il filo del (lungo) negoziato per l’adesione di Kiev all’Ue. L’impegno economico per la ricostruzione deve essere netto.

La mossa con cui Ursula von der Leyen ha auspicato la sospensione del Patto di Stabilità per le spese della Difesa va nella giusta direzione di una maggior autonomia per la Sicurezza.

La tedesca del Berlaymont è consapevole che occorra evitare di appiattirsi su Trump e, anzi, ha senso premurarsi di irritarlo con astuzia.

Una via sarebbe quella di fare sponda sui cinesi, invitandoli a mandare truppe di pace, tentando di consolidare così una relazione bilaterale che Pechino sarebbe disposta a valutare, e che infastidirebbe non poco Washington.

Xi e i Ventisette non si amano, però hanno interessi e nemici comuni. In un’ottica di lungo periodo, un’intesa anche blanda a due potrebbe essere una mossa di ribilanciamento multilaterale vincente per entrambi.

Salverebbe l’anima di Bruxelles, stupirebbe The Donald, imbriglierebbe Putin e, per quel che si può, aiuterebbe gli sconfitti ucraini.

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