Mediobanca e il governo, l'interesse nazionale si difende con un sistema finanziario indipendente
Il ruolo del governo di fronte al tentativo di scalata di Mps a Mediobanca e alle ambizioni sul Leone di Trieste
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Giorgia Meloni ha definito l’offerta pubblica di acquisto del Monte dei Paschi sulle azioni di Mediobanca «un’operazione di mercato». Sarà quindi il mercato a deciderne l’esito e, come avviene per il Conclave nel quale assai spesso chi entra Papa esce cardinale, anche in questo caso l’esito è tutt’altro che scontato. Il sistema bancario, assicurativo e finanziario di un Paese è una macchina delicata fatta di equilibri complessi tra interessi particolari e interessi generali, poteri forti e poteri diffusi, regole e libertà economiche e imprenditoriali.
In Italia stiamo attraversando una fase nella quale questi equilibri vengono ridisegnati attraverso una serie di operazioni che un po’ si sfiorano e un po’ si intrecciano e che, se le guardiamo un po’ più dall’alto, hanno a che fare in qualche modo con la necessità dell’Europa di ridefinire la sua posizione, il suo ruolo e la sua autonomia nel nuovo contesto determinato dall’elezione di Donald Trump.
Come in molti altri campi anche in quello finanziario l’autonomia e la forza europea sono limitate rispetto a quelle americane. È minore la dimensione e la proiezione internazionale delle banche e dei gruppi del risparmio gestito, è inesistente la presenza nel settore delle carte di credito che è totalmente in mano di aziende Usa che raccolgono così oltre a lauti profitti anche miliardi di dati sulle nostre transazioni.
I campioni nazionali non bastano, abbiamo bisogno di gruppi europei che abbiano le dimensioni adeguate per effettuare gli investimenti necessari e competere globalmente. In questa chiave possiamo per esempio leggere il tentativo sostanzialmente sospeso, perché osteggiato dal governo tedesco, di UniCredit di acquisire Commerzbank e il progetto di mettere insieme le masse gestite di Generali e quelle di Natixis.
Ma questo contesto potrebbe interessare anche l’Ops di Mps su Mediobanca, il cui obiettivo finale è il controllo di Generali di cui l’istituto milanese è il maggiore azionista. È una operazione che nasce tutta domestica, anzi forse in qualche modo influenzata dalla volontà di una parte della maggioranza di governo e dei gruppi Caltagirone e Del Vecchio, che sono azionisti di Mps, di Mediobanca e di Generali, di stoppare l’operazione con Natixis sul risparmio gestito, e quindi in un’ottica di chiusura del sistema più che di una sua valorizzazione europea.
Tuttavia, visto che a quanto dice la presidente del Consiglio, l’Ops di Mps su Mediobanca è una operazione di mercato, il mercato potrà dire la sua consegnando le azioni all’assalitore e quindi consentendogli la conquista, non consegnandole e quindi salvando l’autonomia di Mediobanca e di Generali, oppure favorendo l’inserimento di un terzo tra i litiganti.
Un conflitto, come quello creato con una scalata ostile, crea una frattura nel delicato equilibrio del sistema di cui abbiamo parlato sopra e qualcuno, facendo gli stessi ragionamenti che hanno fatto UniCredit a proposito di Commerzbank e Generali con il progetto con Natixis, potrebbe decidere di infilarsi in quella crepa. Potrebbe essere Intesa Sanpaolo, che ha una presenza in Italia già molto importante sia nel credito che con Intesa Vita, ma potrebbero essere anche altri gruppi comunitari e non. E allora la prima domanda da farsi sarebbe: il Monte Paschi ha spalle patrimoniali sufficienti per contrastare un eventuale rilancio di Société Generale, o Bnp Paribas, o Axa, o Allianz, o Santander?
Se una cosa del genere accadesse e il terzo incomodo fosse un gruppo non italiano, il governo potrebbe usare il golden power, che dal 2020 ha esteso la sua applicabilità anche ai settori bancario, finanziario e assicurativo. Ma l’uso del golden power non è mai indolore, è uno schiaffo al mercato che determina potenziali ritorsioni, scoraggia gli investitori esteri, rende meno fiduciosi quelli nazionali, più fredde le istituzioni europee e crea un nuovo ostacolo alla necessaria, per il nostro benessere, integrazione del mercato finanziario, bancario e assicurativo dell’Unione.
Sarebbe importante che tutto ciò fosse stato valutato prima di lanciare l’operazione sia dal Monte Paschi, che l’arrivo di altri soggetti potrebbe chiudere nell’angolo, sia dal governo, che l’ha benedetta.
E qui veniamo ad altri due aspetti di questa vicenda. Il primo è il ruolo dei governi, ai quali va riconosciuto il merito di avere in questi anni consentito al Monte Paschi di risollevarsi entrando nel suo capitale e poi progressivamente riducendo la sua quota. Ma finito il salvataggio qual è il ruolo del governo? Qual è il senso della presenza attiva di un azionista pubblico in una banca nel 2025?
La prima riflessione è che la presenza nell’azionariato di una banca non dovrebbe pregiudicare l’equidistanza rispetto a tutte le altre componenti del sistema. La seconda, ancora più importante, è che la posizione di azionista di una impresa non è il punto di osservazione ottimale per definire l’interesse nazionale perché ovviamente, inevitabilmente, parziale.
Il secondo aspetto riguarda una anomalia, molto italiana, per certi versi novecentesca. Il fatto che gruppi familiari abbiano quote rilevanti e potenzialmente influenti sulla gestione, in istituzioni finanziarie di importanza sistemica. È il caso delle famiglie Caltagirone e Del Vecchio importanti azionisti delle Generali, Mediobanca e Monte Paschi. Ci sono banche bene o ottimamente gestite come Banca Sella, fondata e controllata dalla famiglia Sella, Credito Emiliano controllato dalla famiglia Maramotti, Banca Ifis controllata dalla famiglia del fondatore Sebastian Egon Furstenberg, sono banche importanti ma non di peso sistemico.
Guardando oltre confine viene subito in mente il gigante spagnolo Santander, legato da decenni alla famiglia Botin, che però possiede meno dello 0,5% del capitale. Le grandi istituzioni bancarie e assicurative sono in genere possedute dal mercato, il che non assicura sempre la saggezza nella gestione ma generalmente un bene altrettanto prezioso, l’indipendenza da interessi diversi che non siano quello dell’azienda stessa e della totalità dei suoi azionisti, dei suoi dipendenti e dei suoi clienti, delle comunità in cui opera.
Alla fine l’interesse nazionale è forse proprio questo, avere aziende forti e indipendenti.
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