Su cosa conta l’Europa per difendersi

Meglio la diplomazia? E soprattutto: siamo o no pronti a lottare per

la nostra democrazia?

Peppino Ortoleva
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (Ansa)
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (Ansa)

Mentre il dibattito sull’aderire o meno al progetto di “riarmare l’Europa” procede in Italia, tra divisioni e ipocrisie, più confuso e bizantino che in qualsiasi altro Paese, è opportuno farsi due domande.

La prima, ora al centro del dibattito pubblico, consiste nel chiedersi se gli investimenti massicci in armamenti siano davvero la scelta giusta. Non sarebbe più saggio mostrare alla Russia - e anche agli Usa di Trump - un volto più amichevole e più “diplomatico” evitando di dare esca al conflitto? Una seconda domanda comincia a farsi strada: l’Europa sarebbe disposta a far fronte a un’eventuale aggressione non soltanto con gli arsenali e gli investimenti, ma anche con la capacità dei suoi abitanti di opporre resistenza?

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Per quanto riguarda la prima domanda c’è un aspetto della guerra in Ucraina che viene troppo poco considerato nel dibattito attuale. Se c’è un Paese che ha dimostrato la massima disponibilità a venire incontro alla Russia pur di avere la pace quello è proprio l’Ucraina: nel 1994 ha rinunciato al terzo arsenale nucleare del pianeta (1900 testate), devolvendolo al Paese vicino in cambio di un impegno degli Usa e della stessa Russia a rispettare e proteggere la sua indipendenza e la sua integrità. Nel 2014 Putin ha dichiarato invece nulli quegli accordi appena a Kiev si è installato un governo che non considerava sufficientemente ubbidiente, prendendosi la Crimea nel silenzio degli Usa e dell’Europa e, anni dopo, cercando di prendersi l’Ucraina intera. Se fosse stata una potenza nucleare se ne sarebbe guardato bene. Come si può sostenere di fronte a una Russia totalitaria e imperialista, incapace di comprendere se non il linguaggio della forza, che la risposta migliore sia presentare soltanto il volto della pace e del disarmo?

La seconda domanda è più scomoda. Con il progetto Rearm Europe l’Ue sta agendo sul piano degli investimenti, come è tipico di un’unione centrata sempre e solo sull’economia. Ma per scoraggiare l’aggressività russa non basta accumulare armi, occorre la determinazione delle donne e degli uomini d’Europa a combattere, se necessario, i possibili aggressori.

È proprio su questo che si è di recente interrogato lo scrittore Antonio Scurati, chiedendosi se le indubbie conquiste di civiltà di questi decenni non ci abbiano visti, oltre che invecchiare demograficamente, anche infiacchire nella volontà. Se siamo pronti a «trovare nella guerra eroica l’esperienza plenaria, il momento della verità».

Ma davvero un Paese se non si dota di “guerrieri” è imbelle e costretto alla resa? I partigiani e le truppe italiane che combatterono con gli alleati raramente cercavano «nella guerra eroica il momento della verità». I più non vedevano l’ora, sconfitto il nazismo, di ricostruire. Era dalla parte di Hitler che stavano, semmai, i “guerrieri”. I milioni di soldati americani, poi, che furono decisivi nello sconfiggere il nazismo venivano dal Paese democratico (allora) per eccellenza, che stava dando vita allo Stato assistenziale.

Potevano amare l’eroismo dei film western e adottarne in guerra i valori, ma per poi tornare al più presto alle loro famiglie. Combattevano per dovere, ma anche - soprattutto - perché alla democrazia ci credevano. L’esempio più chiaro ci viene proprio dall’Ucraina: se ha resistito per tre anni a una potenza che sembrava tanto più forte non è stato solo grazie agli aiuti militari che arrivavano dall’Occidente. Quello che Putin non ha messo in conto è un esercito bene addestrato e soprattutto sostenuto dalla coraggiosa, intransigente volontà di un intero Paese.

Non occorre rinunciare neppure temporaneamente alle conquiste della civiltà, né tanto meno cercare nella guerra un’esperienza esaltante, per essere disposti a difendersi dalla tirannia e dalle sue aggressioni con tutti i mezzi necessari. L’importante è crederci, nella democrazia. È su questo che l’Europa, e tanto più l’Italia che ne costituisce ora l’anello debole, dovrebbero investire, non (solo) sull’acquisto di armi.

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