La carrozza a 27 cavalli non basta più: subito un’Unione europea federale

Grave e pericoloso tentennare di fronte alla rottura traumatica della solidarietà atlantica. A Bruxelles servono il voto a maggioranza in Consiglio e una Commissione davvero operativa

Paolo CostaPaolo Costa
Una riunione della Commissione europea a Bruxelles
Una riunione della Commissione europea a Bruxelles

Non c’è più tempo da perdere. Con l’America di Trump si deve e si può trattare, perché anche gli Usa hanno molto da perdere da una rottura della solidarietà atlantica. E trattare usando il meglio degli strumenti disponibili: la carrozza Ue tirata da 27 cavalli, di gran lunga più solida di ciascuna delle 27 carrozze nazionali che nessun cocchiere, per quanto abile, potrà far vincere rispetto al più moderno veicolo Usa.

Ma rendendoci conto che le carrozze non bastano più e che anche da questa parte dell’Atlantico vanno sostituite con urgenza con un veicolo adatto a muoversi con successo sulle strade del mondo e non solo su quelle europee.

Fino all’altro ieri pensavamo di aver imboccato fiduciosi il sentiero di ripresa e resilienza post Covid disegnato in sede UEe in un insperato sussulto di razionalità politica. Ci eravamo poi un po’ preoccupati per la guerra in Ucraina e per quella di Gaza. Ma più per il nostro portafoglio (aumento del prezzo del gas) che per timore di essere coinvolti in conflitti che ci apparivano lontani.

Non ci eravamo scomposti più di tanto nemmeno quando Draghi ci aveva fatto ammettere che «il re è nudo», che il gap di prosperità con Usa e Cina, ma non solo, si andava allargando da venti anni, anche per insipienza politica europea e per l’obsolescenza degli strumenti istituzionali a disposizione.

Convenivamo, a parole, sulla cura proposta: aumentare la scala dimensionale delle imprese europee per farle diventare più competitive nei settori innovativi e gestire l’uscita da quelli maturi, ma non ci affannavamo per provvedervi con le necessarie riforme. Oggi non possiamo più abbozzare.

La rottura traumatica della solidarietà atlantica annunciata da Trump: quella militare («per la vostra difesa, cari europei, dovete provvedere voi senza contare troppo sugli Usa») e quella economica («cari europei, noi per fare grande l’America abbiamo deciso di provvedervi anche con i dazi sull’importazione dei vostri prodotti») ci costringe a prender atto del fatto che, in Europa, siamo tutti più indifesi e tutti più a rischio di impoverimento crescente.

Una situazione estremamente pericolosa dalla quale non possiamo uscire da soli, perché non siamo più noi soli la fonte delle nostre paure. Oggi come Paese, o Nazione che dir si voglia, siamo del tutto impari di fronte ai colossi economici come Usa e Cina, e a quelli militari come la Russia. Non c’è più spazio per anacronistici nazionalismi.

L’era delle carrozze nazionali è finita da tempo, ma, non ce ne eravamo finora accorti, è finita anche quella della carrozza Ue tirata da 27 cavalli con 27 cocchieri: non c’è più spazio per istituzioni europee zavorrate dalla illusoria pretesa di difendere particulari nazionali senza passare per la difesa dell’interesse comune europeo. È un dato di fatto, non una opinione. Fino a che ci giocavamo pace e prosperità tra di noi potevamo discettare sulla superiorità relativa di istituzioni confederali - nelle quali ogni Paese difende senza nobili compromessi il suo interesse particolare - rispetto a quelle federali - nelle quali il bene comune europeo fa premio su quelli dei singoli Stati membri perché solo lui garantisce il bene di tutti. Oggi non più.

Il bene di ogni collettività nazionale europea passa solo per quella del bene comune unionale, che solo tutti assieme possiamo difendere da chi persegue il suo bene comune: quello del Maga degli Usa o quello cinese, o quello russo, indiano, indonesiano, brasiliano, eccetera.

Il bastione nazionale non protegge più nessuno. Urge liberarsi delle istituzioni europee disegnate per far rispettare un trattato (la Commissione che può solo proporre, il Consiglio dei capi di Stato e di governo che dispone solo all’unanimità, e non sempre coinvolgendo un Parlamento sui generis, e la Corte di giustizia che risolve i conflitti, ma solo quelli interni, di ieri, non quelli esterni con Usa, Russia,Cina, e così via, di oggi e di domani) e dotarsi di istituzioni federali capaci di far valere a livello internazionale la propria scala (450 milioni di abitanti con un reddito pro capite ancora tra i più elevati) e una prontezza decisionale da riacquisire.

Istituzioni capaci di far funzionare uno Stato federale nel quale a ogni comunità nazionale verrà data la possibilità di farsi valere nel rispetto delle regole della democrazia, ma sapendo che sacrifica poco, un’autonomia nazionale oggi vuota, per una autonomia federale sempre più piena.

Possiamo innestare il processo virtuoso di riforma con due prime decisioni, con il granello che fa partire la valanga: il voto a maggioranza in Consiglio europeo e una Commissione composta da un numero ridotto di membri votati dal Parlamento europeo e non concordati con i governi nazionali.

È solo disponendo al più presto delle istituzioni proprie di uno Stato federale che potremo avere quella unione bancaria, quel mercato unico dei capitali europeo, quella politica fiscale che assieme all’euro ci consentirà di tornare protagonisti nell’agone dell’economia mondiale alla caccia del recupero di prosperità che è alla portata della nostra economia reale.

Solo disponendo di istituzioni federali potremo evitare la follia di costosi riarmi nazionali - convenzionali per non toccare il tabù delle armi nucleari - e dotarci di forze armate europee che ci consentano di dire la nostra, dentro la Nato e fuori di essa, nel far rinsavire il mondo e farlo tornare sul faticoso sentiero di disarmo e pace che pur aveva nei decenni passati mostrato di saper percorrere.

Decisioni tanto urgenti quanto difficili, soprattutto per un governo italiano, e per la sua maggioranza, che ha il nazionalismo e un cauto confederalismo nei suoi principi di riferimento. Principi che oggi hanno perso validità non tanto sul piano del confronto ideologico, bensì su quello della realtà dei fatti.

Insistere nel boicottaggio dello scatto necessario verso una Unione europea federale significa oggi andar contro gli interessi degli italiani, esporli a pericoli crescenti tanto sul piano della prosperità quanto su quello della pace. Siamo a un appuntamento con la storia. Un appuntamento da affrontare da statisti chiamando a raccolta tutto il Paese, forze di maggioranza e forze di opposizione, in un momento che non ammette furbizie partigiane. Questo è il vero Next Generation Plan del quale saremo tutti, sia i governati sia i governanti, chiamati a rispondere. 

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