Pericoloso lasciare la Fenice senza guida
Dall’11 dicembre scorso la Fenice non ha più né un sovrintendente né un direttore artistico. Poiché né Giuli né Zaia né Brugnaro distinguono un soprano di coloratura da un basso profondo, la scelta è squisitamente politica
I politici, come al solito, sono in ritardo. Dall’11 dicembre scorso la Fenice non ha più né un sovrintendente né un direttore artistico, che poi nel suo caso erano la stessa persona, Fortunato Ortombina, che assumerà gli stessi incarichi alla Scala a partire dal primo marzo, ma è già lì ad affiancare il suo illacrimato predecessore, Dominique Meyer.
L’addio di “Lucky” al teatro dove ha lavorato per diciassette anni non è stato dei più felici, e fargli saltare per sciopero l’ultima “prima” un gesto, al netto di torti e ragioni sindacali, ingeneroso.
Fatto sta che da un mese il teatro è senza guida, se non quella assicurata dal direttore generale, Andrea Erri.
La politica, nelle sue declinazioni locali e nazionali, non ha ancora scelto il successore, o almeno non ufficialmente. Questa incertezza dimostra che, nonostante i proclami, nell’agenda di chi comanda la cultura non viene certo al primo posto. Certo, in altri casi potrebbe non essere un problema, anzi: in un teatro, sì.
Questo prolungato interregno è pericoloso, preoccupante e può avere delle conseguenze molto negative. Pericoloso, perché i teatri in generale e quelli d’opera in particolare sono macchine delicate, dal funzionamento complesso e dalle necessità contraddittorie, dove vanno calibrate attentamente esigenze artistiche e amministrative, e dove di conseguenza l’unico sistema di governo possibile è la monarchia, benché non più assoluta. Insomma, la regola aurea è che il numero di chi comanda in teatro dev’essere dispari e inferiore a tre: ma se chi comanda proprio non c’è, la macchina è a forte rischio di incepparsi.
Preoccupante perché, pur sapendo da secoli che Ortombina se ne sarebbe andato, la politica non ha ancora comunicato il successore, segno che o la scelta non è ancora stata fatta oppure che non sarà gradita al teatro e alla città, quindi si cerca di anestetizzarla rimandandola (è l’ipotesi più probabile).
Infine, le conseguenze negative. I coeurs simples, anche quelli che scrivono sui giornali, non sanno che la programmazione di un teatro si fa in anticipo, e molto. Alla Fenice, certo, hanno definito l’inaugurazione del 2025-26 e chi dirigerà il prossimo concerto di Capodanno (Michele Mariotti, già annunciato): ma nei teatri ben gestiti si lavora già sul ’27 e sul ’28 e perfino sul ’29, e più si tarda a farlo e più farlo bene diventa difficile.
Poi può anche darsi che effettivamente il nome già ci sia, quello di Nicola Colabianchi, che a Cagliari non ha fatto bene ma è molto sponsorizzato da Meloni e dai suoi fratelli (questo è il governo del merito, notoriamente). Poiché né Giuli né Zaia né Brugnaro distinguono un soprano di coloratura da un basso profondo, né evidentemente accanto a loro c’è qualcuno che possa o voglia spiegare la differenza, la scelta è squisitamente politica.
Chiunque abbia a cuore la Fenice preferirebbe qualcun altro e forse perfino qualsiasi altro, ma se la decisione è presa, cosa si aspetta a renderla operativa? In politica, spesso, un giorno perso è un giorno guadagnato; a teatro, il tempo perso è perso e basta. Alla fine, gira e rigira, destra o sinistra, in Italia abbiamo sempre lo stesso problema: una classe politica che non sa nulla e vuole occuparsi di tutto.
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