Colorni, le radici triestine del manifesto di Ventotene
Uno dei coautori del Manifesto è infatti Eugenio Colorni, che trascorse cinque anni fondamentali della sua brevissima esistenza proprio nella città di Trieste.

Si è parlato molto in questi giorni del Manifesto di Ventotene, anche perché la premier Giorgia Meloni ha detto che quel documento non rappresenta la sua idea dell'Europa. Più che partecipare a un dibattito nazionale tuttora aperto, vorrei proporre un risvolto molto significativo del Manifesto che riguarda le sue radici triestine.
Uno dei suoi coautori è infatti Eugenio Colorni, che trascorse cinque anni fondamentali della sua brevissima esistenza proprio nella città di Trieste.
Vi giunse a 24 anni per insegnare filosofia e pedagogia all'istituto magistrale Carducci. In realtà, la brillante laurea in filosofia a 21 anni, e i tre anni successivi trascorsi a Berlino e a Marburgo per approfondire gli studi, gli avrebbero dato titolo di accedere alla carriera universitaria, ma questo avrebbe implicato giurare fedeltà al fascismo. Colorni scelse le scuole superiori, dove il giuramento non era necessario.
La scelta di campo molto netta derivava dalle sue origini (proveniva da una famiglia ebrea, sua mamma era una Pontecorvo) e dalle sue scelte politiche, inizialmente Giustizia e Libertà e poi il Psi.
Arrivato a Trieste nell'autunno del 1933, il giovane Colorni entrò presto in contatto con i personaggi significativi della cultura, dell'antifascismo e dell'ebraismo triestino.
Frequentò Umberto Saba, Eugenio Curiel, Bruno e Gino Pincherle, Giorgio Radetti, Antonio Quarantotti Gambini, che influenzarono notevolmente la sua formazione, ma ai quali portò a sua volta «un soffio di vita nuova» che smosse positivamente l'ambiente antifascista locale, come ebbe a scrivere Bruno Pincherle.
Colorni si confrontò in particolare con il comunista Eugenio Curiel che insegnava all'Università di Padova, e fu portato a rivedere alcune convinzioni filosofiche in parte per l'impatto con la psicoanalisi, che a Trieste era arrivata con Edoardo Weiss, ma soprattutto per il rapporto con Umberto Saba, di cui riconobbe il ruolo nel racconto “Un poeta”.
È in questo periodo che Colorni manifesta la sua convinzione europeista e federalista. Nell'articolo “I problemi della guerra” (1935) Colorni sostiene che il nuovo, grande conflitto verso il quale si sta avviando l’Europa è una conseguenza diretta della natura del sistema politico europeo, «nel quale il sentimento nazionale spinge ad aumentare la potenza territoriale e militare del proprio Stato a danno di tutti gli altri. Bisogna pertanto rifondare il sistema europeo superando la divisione tra Stati nazionali sovrani, prima causa delle guerre e dei regimi fascisti».
Durante il periodo triestino Colorni fu impegnato anche sul piano politico internazionale. Andò a Parigi più volte, tenne contatti con i circoli socialisti e con i vertici del Psi, incontrò Nenni, Tasca, Carlo e Nello Rosselli, prima che i due cadessero per mano fascista.
Ufficialmente, all'estero si recava per partecipare a convegni filosofici. Ed è per uno di questi viaggi che l'8 settembre del 1938 Colorni si reca in Questura a chiedere il visto. Siamo però alla vigilia dell'arrivo a Trieste di Mussolini, che il 18 settembre avrebbe proclamato in piazza Unità le leggi razziali. Così la Questura, invece di dargli il visto, lo arresta.
Dopo quattro mesi di reclusione, Colorni nel febbraio del 1939 viene mandato al confino a Ventotene. Non vedrà più Trieste, ma la città gli è rimasta nel cuore, e lo scrive con parole toccanti alla moglie:
«In camerata siamo tutti triestini o semi-triestini... Tutti i racconti che ci facciamo si riferiscono a Trieste, e si parla delle vie e dei caffè e dei ristoranti, tutti luoghi dove sono andato con te, e mi sento sempre riportato in quell’ambiente dove abbiamo passato i nostri begli anni».
A Ventotene entra in contatto con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi ed è da questo incontro che nasce il Manifesto.
Trasferito nel ’41 al confino di Melfi, Colorni riesce a fuggire ed entra in clandestinità; porta avanti le idee del Manifesto e nel 1943 dà vita al Movimento federalista europeo.
II 28 maggio 1944, a Roma in via Livorno, una pattuglia fascista della banda Koch lo intercetta e lo falcia con alcuni colpi di pistola. Si spegne all'ospedale San Giovanni il 30 maggio, quattro giorni prima della liberazione di Roma. Aveva 35 anni.
Nove mesi dopo a Milano in analoghe circostanze farà la stessa fine Eugenio Curiel.
Tutti e due sono stati insigniti nel 1946 della medaglia d'oro al valor militare per il loro contributo antifascista.
Che questo patrimonio di storia e di cultura sia disconosciuto dalla Meloni è persino comprensibile, non fa parte della sua tradizione politica. Sarebbe importante che lo conoscesse e lo ricordasse Trieste. —
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