Zaia e terzo mandato: minacce reali o bluff? Ora è prova di forza. Ma c’è chi manovra per evitare la rottura

Nonostante i toni concitati, si va verso un vertice risolutivo tra la premier e i suoi due vice. Già ora i più smaliziati scommettono su candidato condiviso e incarico top per il Doge

Carlo Bertini
Il ministro Matteo Salvini all’inaugurazione a Torino della ferrovia fino all’aeroporto
Il ministro Matteo Salvini all’inaugurazione a Torino della ferrovia fino all’aeroporto

A sentir parlare Luca Zaia e i suoi dopo la foto postata in serata su Instagram con la scritta «Io sono a disposizione della Lega per tutto», la minaccia di correre da soli in Veneto è reale. Perché se cade Zaia, cade un blocco di potere consolidato in una regione ricca.

E perché il Veneto per la Lega è questione di vita o di morte, se perde questa regione, il partito è finito. A sentire i dirigenti nazionali della Lega, Giorgia Meloni in ogni caso non farebbe cadere il governo, «perché noi le portiamo sempre quel 9 per cento di voti che le permette di governare e di vincere le politiche».

Giovedì 16 gennaio, Matteo Salvini riunisce il congresso federale e la linea sembra essere quella che, se il Doge correrà da solo, la Lega sarà al suo fianco. Mettendo in conto di rinunciare alla Lombardia nel 2028.

Minacce solo annunciate

A sentire invece i dirigenti di FdI, Salvini non la metterà in atto questa minaccia e neanche Zaia: assodato che il governatore non si potrà ricandidare perché Meloni non farebbe mai una marcia indietro sul terzo mandato dopo aver impugnato la legge campana alla Consulta, non è credibile che il Doge rischi di spaccare la coalizione nazionale per far correre in Veneto un signore che non sia sé stesso.

Ecco lo scetticismo di chi, nel mondo della premier, è convinto che sia solo l’inizio di una partita in cui tutti partono tenendo il punto e che alla fine «si troverà una quadra», come nella previsione fatta ieri da Augusta Montaruli a Un giorno da Pecora su Rai Radiodue.

Disarmo bilaterale

E quindi, dietro il braccio di ferro, i più smaliziati scommettono su un disarmo bilaterale, per evitare morti e feriti. «Convergere su una candidatura condivisa», questo il mantra. Convergere è la parola magica.

Tutti la disdegnano oggi, ma forse un domani non si stupirebbero se spuntasse in Veneto un candidato civico (una figura tipo Matteo Zoppas, che però si è chiamato fuori), gradito alla Lega, a Forza Italia e a FdI. E se magari il Doge accettasse un incarico di governo importante (tipo ministro dell’Interno, non certo del Turismo). Magari potrà essere il male minore riaprire certe finestre che fino a mesi prima sembravano serrate.

Intendiamoci, dopo l’affondo di Zaia, il verbo del Carroccio unito è «siamo con lui, corriamo anche da soli alle regionali con il nostro 45% di consensi».

Certificato numeri alla mano: nel 2020 la lista Zaia presidente prese il 45 e la Liga Veneta il 16 per cento. Ma è vero pure che FdI alle politiche e alle europee ha preso più voti in Veneto che in ogni altra regione: e che ora Giorgia vorrebbe passare all’incasso.

Vertice Salvini-Tajani

Una cosa è certa: servirà un vertice tra la premier, Matteo Salvini e Antonio Tajani per sciogliere il nodo delle candidature alle regionali. Nel 2025 si voterà in sei regioni, ma il Veneto è il piatto forte. Quando si terrà questo summit non è ancora deciso, ma che si terrà, sì.

Perché i toni sono troppo accesi, si è andati oltre e si rischia il peggio che può derivare da uno scontro simile. È una sorta di stallo alla messicana, da cui possono uscire tutti a pezzi.

Alla sciabolata di Zaia contro chi boccia il terzo mandato pur sedendo da 30 anni in Parlamento, ha risposto Maurizio Gasparri con una battuta ruvida, ma eloquente nel quadro di una futura trattativa: «Troveremo un modo per sfamare Zaia che ha fatto l’amministratore locale e il ministro, lo sfameremo».

Il caso del Piemonte

I leghisti non apprezzano e chiedono polemici come mai il governo non abbia impugnato la legge regionale del Piemonte che nel 2023 «ha aperto la strada ai quattro mandati del governatore Cirio», lamentando due pesi e due misure. E si affidano alla tenue speranza che la Consulta in aprile possa dire che le Regioni hanno facoltà di decidere se non porre limite ai mandati. In tal caso Zaia avrebbe di nuovo potere assoluto.

Il consenso del Doge

Ma in questo quadro si gioca la partita interna al Carroccio: non è un caso che il Capitano non abbia silenziato le minacce di andare da soli di Zaia e company. Anzi. Non sa bene cosa fare, ma sa che potersi sedere al tavolo con Meloni e Tajani con un’arma letale come la dote di consensi messa sul piatto in Veneto dal Doge, dalle liste civiche e dalla Liga Veneta può far partire la trattativa da una posizione di forza.

Considerando che il Veneto è la regione che gli dà il maggior numero di delegati al congresso, dove si voterà per il segretario, Salvini non può perdere questa partita. E Meloni può fargli pagare un prezzo alto per ingoiare un passo indietro. Bisognerà vedere quale. 

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