I dazi di Trump e quella formula (molto) dubbia, spiegati bene
I calcoli, presentati dal tycoon e spiegati sul sito del governo Usa, sono secondo gli economisti scorretti e molto discutibili. I numeri per l’Ue dimostrano altro, attenzione al “fattore San Marino”

I dazi di Donald Trump colpiscono tutto il mondo, Ue e Italia compresa. Tutte le percentuali dei nuovi dazi sono contenute in una tabella mostrata da Trump durante il suo discorso (qui la lista completa).
Dopo un momento di incertezza iniziale, però, molti esperti ed economisti si sono chiesti come fossero stati calcolati quei numeri, dato che la metodologia non era chiara e alcune percentuali erano scorrette. Per esempio, non è vero che l’Ue impone dazi del 39 per cento agli Stati Uniti. Non esiste un dato unico e assoluto sui dazi medi tra Ue e Stati Uniti, perché il calcolo può variare molto a seconda dei criteri usati (la Commissione Ue stima una percentuale media intorno all’1 per cento). Abbiamo cercato di spiegare qui per punti cosa succede, cosa cambia e perché la formula del governo americano è considerata «molto dubbia».
— The White House (@WhiteHouse) April 2, 2025
Cosa sono i dazi reciproci
Partiamo dal principio. I dazi reciproci sono nuove misure tariffarie doganali, annunciate dal Presidente Trump il 2 aprile che colpiranno le esportazioni verso gli Stati Uniti e che si aggiungono a quelli già in vigore. È prevista una tariffa base del 10% che graverà su quasi tutti i prodotti importati negli Usa. L’aliquota aumenterà per alcuni partner commerciali e varierà da Paese a Paese, l’Unione europea subirà un dazio del 20%, la Cina del 34%, il Giappone del 24% e così via per circa 50 paesi.
Perché si chiamo reciproci
La denominazione "reciproci" deriva da una sorta di pretesa, tutta americana, di ristabilire un’equità nelle relazioni commerciali. Secondo il presidente, il sistema commerciale globale sarebbe strutturalmente sbilanciato a sfavore degli Stati Uniti. Mentre gli Usa hanno mantenuto storicamente barriere tariffarie basse (con un'aliquota media del 2,5%), altri paesi avrebbero imposto dazi ben più elevati sui prodotti americani e creato ostacoli non tariffari, come regolamenti tecnici, procedure doganali complesse o requisiti di certificazione particolarmente onerosi.
Il calcolo sbagliato e il fact checking
Ma di reciproco c’è molto poco. Molti giornali statunitensi prima, poi quelli economici di tutto il mondo, hanno in realtà smontato il calcolo alla base dei dazi “reciproci” messi in campo dall’amministrazione Trump (che peraltro li ha presentati come molto intricati e che invece sono formule piuttosto semplici).
Proviamo a rispiegarlo qui, aiutati dal governo americano che sulla sua pagina ha chiarito la formula punto per punto (la trovate qui): i dazi sono stati ottenuti dividendo il deficit commerciale verso un paese (cioè la differenza negativa tra importazioni statunitensi e le loro esportazioni) per il totale delle importazioni da quel paese. Quindi questo calcolo altro non è la differenza o surplus tra quanto importa un paese (ciò che compra dagli Stati Uniti) rispetto a quanto esporta (ciò vende negli Stati Uniti). Il tutto poi diviso per due, con uno “sconto” che secondo Trump deriva dalla loro “gentilezza”.

La formula: un esempio
Una formula spiegata sul sito americano quindi estremamente semplice (ma non del tutto veritiera). Vediamo un esempio riportato dal Post: il deficit commerciale con l’Indonesia è di 17,9 miliardi di dollari, e le importazioni dall’Indonesia sono di 28 miliardi: 17,9 diviso 28 fa 0,64, cioè 64 per cento. Il dipartimento americano dunque preso questo 64 per cento, l’ha diviso per due (il famoso «sconto gentilezza») e ha ottenuto il dazio da applicare: è del 32 per cento su tutte le merci provenienti dall’Indonesia.

L’ingiustizia secondo Trump
Dove nasce l’ingiustizia allora secondo Trump? Facile: secondo il presidente, per molti anni gli americani hanno comprato molto di più dai produttori europei e internazionali di quanto gli altri abbiano fatto con gli States. Ma, sempre come raccontano gli economisti, la formula parte da un nesso di causalità del tutto senza basi e molto difficile da dimostrare poiché il sistema degli scambi è molto, ma molto più complesso di così: c’entrano le preferenze dei consumatori, la capacità della loro industria nazionale di soddisfarle, come reagiscono a differenze nei prezzi, e molto altro. E stiamo parlando solo di beni, e non di servizi. Che dire, per esempio, degli abbonamenti alle piattaforme di streaming (Netflix, Amazon Prime...) o di altri servizi digitali? Questo non viene assolutamente calcolato nè preso in considerazione.
L'Ue non impone dazi del 39% sulle merci Usa
Calcoli dubbi, sicuramente, anche per l’Europa. I dati disponibili dimostrano che l'aliquota tariffaria reale dell'Ue non è affatto vicina al 39 per cento menzionato da Trump. Un lavoro di verifica è stato pubblicato da Euronews che chiarisce: «La Commissione europea dichiara di imporre una tariffa media di appena l'1 per cento sui prodotti statunitensi che entrano nel mercato dell'Ue, "considerando l'effettivo scambio di merci". L'esecutivo europeo indica inoltre che gli Usa hanno riscosso circa 7 miliardi di euro dalle tasse imposte sui prodotti dell'Ue nel 2023, rispetto ai 3 miliardi di euro incassati dall'Ue sui prodotti statunitensi». Secondo una stima dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc), l'aliquota tariffaria media sui prodotti statunitensi che entrano nell'Ue è leggermente superiore, pari al 4,8 per cento, dunque superiore a quanto dichiarato da Bruxelles ma di molto inferiore al 39 per cento denunciato dal presidente degli Stati Uniti.
La curiosità San Marino
A scorrere bene la lista di Trump, c’è un Paese che manca: la Repubblica di San Marino. Mentre l'Unione europea vedrà un balzello del 20%, per la piccola nazione autonoma dovrebbe essere valida solo l'imposizione minima del 10% decisa dal tycoon a livello mondiale. Da sempre sul Titano hanno sede decine di aziende di import-export grazie a numerosi vantaggi di tipo fiscale che ora potrebbero vederne uno in più e cioè l'essere stato 'graziato' da Trump.
In queste ore, secondo quanto si apprende, numerose aziende stanno valutando di aprire una base operativa a San Marino. Bocche cucite per ora dall'associazione industriali sammarinesi che hanno fatto trapelare solo una generica preoccupazione delle loro imprese associate che si rivolgono principalmente a Italia e Unione europea.
Gli effetti dei dazi
Gli effetti economici di queste misure si preannunciano estesi e bidirezionali. Negli Stati Uniti, i dazi si tradurranno in prezzi più alti per innumerevoli prodotti di consumo quotidiano, dai dispositivi elettronici all'abbigliamento, dalle automobili ai giocattoli. Le aziende americane che dipendono da componenti importati vedranno aumentare i costi di produzione, riducendo la loro competitività. Per l'Europa, con un dazio del 20% sui suoi prodotti, le conseguenze potrebbero essere severe: secondo le stime, l'esportazione verso gli Usa potrebbe contrarsi significativamente, colpendo settori chiave come l'automotive, l'alimentare e il lusso.
Cosa succede alle aziende italiane
Su un punto non ci sono dubbi: il Made in Italy sarà certamente penalizzato dai nuovi dazi Usa. Per accedere al mercato Usa, assorbendo i costi relativi ai dazi, gli esportatori dovranno applicare prezzi più alti, con il rischio di perdere competitività. I settori che saranno maggiormente colpiti saranno le attrezzature per il trasporto, i prodotti chimici, ferro, acciaio e macchinari. È prevedibile anche un contraccolpo sul mercato dell’agrifood
Quando entrano in vigore i dazi di Trump
I dazi reciproci base del 10% entreranno in vigore il 5 aprile, l’aumento specifico per ogni paese (la colonnna arancione della tabella) scatterà invece il 9 aprile. I dazi al 25% sulle auto straniere, acciaio e alluminio, sono già entrati in vigore in queste ore.
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