Perché Veneto e Friuli Venezia Giulia sono poco attrattive per i giovani
Le falle del sistema universitario, le difficoltà delle aziende nell’attrarre talenti, il ritardo negli investimenti sul terziario avanzato: Lombardia ed Emilia Romagna hanno più appeal
L’Italia non è un paese per vecchi, segnalava un film del 2007. Il Nord Est non è un’area per giovani, segnalano i dati dell’omonima Fondazione: non lo è perché deve registrare un’autentica emorragia verso l’estero. Cui va aggiunta un’integrazione non meno amara: un andamento analogo si verifica anche a livello interno; nel senso che Veneto e Friuli Venezia Giulia risultano meno attrattive verso i giovani di altre regioni, in particolare Lombardia ed Emilia Romagna.
Anche queste due devono scontare una perdita nei confronti di altri Paesi; ma sono le sole realtà italiane che riescono a compensare l’esodo oltralpe, per giunta ottenendo alla fine un saldo positivo: più di 50 mila unità nel caso emiliano, più di 70 mila in quello lombardo.
Sono diversi i fattori che concorrono a questo andamento; tra i principali figura il sistema universitario: a fare la differenza a favore delle due regioni confinanti è la caratteristica dei rispettivi atenei, che offrono una migliore qualità della vita e migliori occasioni occupazionali. A testimoniarlo sono i saldi migratori relativi alle immatricolazioni di nuovi studenti: positivi per Emilia (più 25 mila) e Lombardia (più 11 mila); negativi per Veneto (meno 12 mila) e Friuli Venezia Giulia (meno 2 mila).
È un andamento che si può tradurre anche in una stima della ricaduta economica, calcolata dalla Fondazione: nello scambio di talenti, il Nord Ovest guadagna 3,8 miliardi l’anno, il Nord Est (Emilia compresa) 1,4; peraltro anche in quest’ultimo caso con una nota negativa per la squadra di casa: l’Emilia guadagna 1,5 miliardi, il Veneto perde 72 milioni e il Friuli Venezia Giulia 117.
Ci sono in questo quadro significative contraddizioni, che segnalano la presenza di sostanziali squilibri. A partire dal fatto che due imprese su tre del Nord Est faticano ad attirare laureati giovani; ma di queste, solo una su due fa ricorso alla leva della formazione, e solo una su tre a percorsi di crescita professionale. Conta anche, ma in misura minore, la differenza retributiva; molto di più quella relativa alla quantità di laureati sul totale dei dipendenti, che nel caso emiliano arriva al 25 per cento, mentre in quello veneto si ferma al 21.
Sono d’altra parte gli stessi imprenditori a mettere in risalto la maggior attrattività esercitata da Lombardia ed Emilia sia sul piano delle caratteristiche del sistema produttivo, sia su quello delle proposte offerte da percorsi di laurea più attraenti da parte degli atenei. Da ultimo, conta la presenza specie nel contesto emiliano di poli di attrazione quali Data Valley e Motor Valley, e di aziende quali Maserati, Ducati, Ferrari, Barilla, Bluemarine, Liu-jo. Per meglio capire il divario, si può ricorrere a un ampio studio di due docenti universitari padovani, Francesco Carbone e Patrizia Messina, che mette in luce le difficoltà del sistema produttivo veneto ad assorbire laureati.
Si parte dalla constatazione che gli studenti veneti che si iscrivono in università fuori regione sono più numerosi di quelli che vengono da fuori a immatricolarsi nei nostri atenei.
Eloquente il dato: 120 mila ragazzi veneti studiano nel sistema universitario italiano, ma solo 80 mila hanno scelto un ateneo veneto, gli altri 40 mila si sono iscritti fuori regione; e soltanto 28 mila studenti di altre regioni hanno scelto una sede veneta. Il confronto con l’Emilia in particolare è secco: il Veneto attira dal sistema emiliano 2.300 studenti, ma ne cede 12.500; il Friuli Venezia Giulia ne attira 3.700 ma ne cede 6.500. È un fenomeno, segnalano gli autori della ricerca, che non risiede nella qualità formativa delle università venete (Padova, in particolare, ha un ranking di assoluto rilievo), ma in fattori esterni propri del contesto regionale.
Tra questi, in particolare, come suggerito anche dalla Fondazione Nord Est, il fatto che le imprese venete offrano ai laureati meno opportunità di lavoro rispetto a quelle emiliane e lombarde, in termini qualitativi. Pesa soprattutto il ritardo negli investimenti sul terziario avanzato delle filiere produttive dell’area, oltre alla minore interazione tra università e imprese.
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