Al summit degli Amici dei Balcani un appello per l’ingresso in Europa

Il think tank evidenzia la lentezza del processo e invita l’Unione a far entrare in blocco i sei paesi candidati

Stefano Giantin
Il think tank Amici dei Balcani, fra cui tre ex presidenti: lo sloveno Pahor, il serbo Tadić e il bosniaco Ivanić
Il think tank Amici dei Balcani, fra cui tre ex presidenti: lo sloveno Pahor, il serbo Tadić e il bosniaco Ivanić

Quando gli amici sono preoccupati e lanciano un allarme, dopo aver invano dispensato consigli, forse è meglio ascoltarli. Non vale solo nella vita di tutti i giorni, ma anche in geopolitica. Amici che, nel caso in questione, sono i cosiddetti “Friends of the Western Balkans”, think tank che promuove la piena integrazione della regione balcanica nella Ue, iniziativa dell’ex presidente sloveno, Borut Pahor. E che in questi giorni ha rilanciato un pesante avvertimento che riguarda il presente e il futuro dei Balcani occidentali.

L’appello arriva da Lubiana, dove si è tenuto il secondo meeting internazionale degli Amici dei Balcani occidentali, con ospiti di tutto rilievo, dall’ex presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, Volkan Bozkir, a Peter Grk, influente segretario generale del Forum di Bled, passando per l’ex premier ceco Jan Fischer e i già presidenti Mladen Ivanić (Bosnia) e Boris Tadić (Serbia). Ma i veri primattori, a Lubiana, sono stati proprio Pahor e la ministra degli Esteri slovena, Tanja Fajon, in totale sintonia su un punto preciso: che i Balcani sono oggi a un punto di svolta delicatissimo, tra vecchie questioni irrisolte e nuove crisi. E che devono entrare quanto prima nella Ue. Per evitare il peggio.

«Se vogliamo accelerare il processo di allargamento, dobbiamo agire con coraggio», ha esordito alla conferenza la ministra Fajon, che ha velatamente criticato la strategia del «o tutto o niente» che Bruxelles starebbe applicando ai Balcani, mentre in realtà servirebbe un approccio più graduale, facilitandone un avvicinamento per tappe al club europeo. Di certo, l’allargamento ai Balcani è una «necessità geopolitica» sia per i sei Paesi ancora fuori dal club sia per l’Unione nel suo insieme.

Allargamento che, tuttavia, non può prescindere dal rispetto di alcuni valori fondamentali, ha chiosato la ministra, che ha sottolineato la necessità di maggior tutela nella regione di «stato di diritto, indipendenza del sistema giudiziario», ma anche di un più incisivo impegno nella lotta alla «corruzione» e «per la libertà dei media». Di certo, «se vogliamo dimostrare che l’Europa è determinata, proattiva e forte, dobbiamo continuare ad allargarci», ha posto l’accento Fajon.

Ancora più diretto è stato Pahor. «Il mondo sta cambiando, rapidamente e in peggio» e il discorso vale anche per i Balcani, regione già di per sé «non celebre per la stabilità». A uno sguardo superficiale, l’area potrebbe sembrare «pacifica e sicura, ma io invece penso che la situazione si stia deteriorando», ha continuato Pahor. E non solo nei Balcani. «L’Ue si muoverà nella direzione» della creazione «degli Stati Uniti d’Europa o verso una graduale disintegrazione?», si è chiesto Pahor. Ammonendo poi: gli “Usa europei” non possono fare a meno dei Balcani, che vanno «assorbiti».

E questo passo va fatto «in blocco», accogliendoli tutti e sei insieme, una strategia suggerita in passato anche da un altro sincero europeista, Romano Prodi. Ma poco o nulla si muove. E nei Balcani crolla il sostegno all’integrazione. Lo ha denunciato, riguardo la Serbia, l’ex presidente serbo Tadić, che ha segnalato il calo degli europeisti «in particolare tra i giovani». Forse anche quale «effetto delle inadeguate reazioni della Ue alla distruzione decennale della democrazia e dei valori europei in Serbia». E alle proteste a Belgrado «non si vede una bandiera Ue», ha tristemente ricordato Tadic. —

Argomenti:balcani

Riproduzione riservata © il Nord Est