Anche gli albanesi scendono in piazza dopo le tensioni nel nord del Kosovo

Settimo giorno della crisi innescata dalla maggioranza serba. Nuovo fronte a Mitrovica. Le truppe Nato serrano i ranghi
Stefano Giantin
Un manifestante albanese in piazza a Mitrovica
Un manifestante albanese in piazza a Mitrovica

BELGRADO I serbi del nord del Kosovo continuano a scendere in piazza, senza incidenti e con numeri meno grandi che nei giorni scorsi. Le truppe Nato rinsaldano i ranghi. A sud, oltre il fiume Ibar, sembra intanto aprirsi un altro fronte, con una protesta degli albanesi della parte meridionale di Mitrovica, pacifica ma destinata ad acuire la tensione. E una soluzione appare sempre lontana. È il sunto della settima giornata di crisi nel nord del Kosovo, area a maggioranza serba sulle barricate da venerdì scorso, dopo la decisione di Pristina di insediare sindaci di etnia albanese a nord, con l’aiuto di polizia e forze speciali, scatenando la rabbia della popolazione locale e gravi incidenti prima tra polizia kosovara e serbi, venerdì scorso e poi scontri anche con truppe Nato, lunedì, con un’ottantina di feriti.

La protesta, ora contenuta, si è espressa anche ieri in nuove manifestazioni pacifiche davanti ai municipi di Leposavić, Zubin Potok e Zvečan, l’epicentro della crisi, al cui interno rimangono le forze speciali della polizia kosovara, mentre gli edifici rimangono custoditi dai militari dell’Alleanza atlantica, in tenuta anti-sommossa. A dar man forte ai manifestanti serbi, ieri, anche i minatori di Trepča, ai tempi della Jugoslavia motore dell’economia nazionale, oggi pochi sopravvissuti all’inarrestabile decadenza del gigante estrattivo, acceleratasi dopo il 1999. Minatori che hanno accusato la autorità di Pristina di aver loro impedito di scendere in galleria da venerdì scorso e per questo avrebbero deciso di rimpolpare i già folti ranghi della protesta serba.

Nel frattempo, la missione Nato in Kosovo, la Kfor, ha ulteriormente rafforzato la sua presenza a nord e a Zvečan in particolare. Ma ieri sono emersi anche altri segni, potenzialmente negativi. Uno di questi è stata una sorta di contromanifestazione, conclusasi pacificamente, organizzata da ignoti nella parte meridionale di Mitrovica, quella abitata da albanesi. «Marciamo verso nord», il pericolo appello lanciato sul web, a cui hanno risposto un centinaio di persone, malgrado gli appelli a far marcia indietro da parte delle forze dell’ordine kosovare, preoccupate per una nuova escalation. Si è trattato in gran parte giovani, che si sono ritrovati in una piazza a ridosso del ponte principale che supera il fiume Ibar, corso d’acqua che divide la città tra parte serba e parte albanese. Giovani che hanno portato con sé bandiere albanesi, qualche bandiera kosovara, striscioni che esaltavano la Grande Albania e hanno urlato slogan a favore dell’Esercito di Liberazione del Kosovo, urlando «Uck, Uck». Una cinquantina si è poi avvicina al ponte che collega la zona sud a quella settentrionale serba, presidiato dai carabinieri italiani, in passato teatro di incidenti e scontri, ma la marcia sul nord non si è concretizzata e la protesta si è poi spenta da sola, senza che si registrassero problemi.

Nel frattempo, resta tensione sul fronte diplomatico, con Pristina che – per bocca della presidentessa Osmani e del premier Kurti – ha continuato a sostenere che Belgrado sia all’origine del caos, perché «incita» la rivolta di «gang criminali», ribadendo che i sindaci non se ne andranno. Ma la linea dura sembra smorzarsi. Il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz hanno infatti lanciato ieri sera un appello a Pristina affinché organizzi nuove elezioni a nord, senza boicottaggio serbo, dopo un incontro in Moldova con Osmani e il leader serbo Vucic. E la stessa Osmani, alla fine, si è detta pronta a considerare questa opzione. Una decisione potrebbe arrivare la settimana prossima.

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