Belgrado ancora in piazza: «Vogliamo giustizia»

Domenica nuova manifestazione, 29 mila i partecipanti secondo le stime del ministero. Studenti protagonisti: dopo la tragedia a Novi Sad nel mirino anche la corruzione

Stefano Giantin
Impressionante colpo d’occhio della piazza Slavija, inquadrata dall’alto da un drone, che testimonia la vasta partecipazione alla protesta di domenica a Belgrado. Foto Arhiv Javnih Skupova
Impressionante colpo d’occhio della piazza Slavija, inquadrata dall’alto da un drone, che testimonia la vasta partecipazione alla protesta di domenica a Belgrado. Foto Arhiv Javnih Skupova

Rumore, silenzi per onorare la memoria delle vittime, telefonini alzati verso il cielo per contarsi e illuminare la piazza, poi ancora fracasso, tra slogan, trombe e fischietti. E di nuovo 15 minuti a bocche chiuse, calma carica di pathos, per ricordare i morti di Novi Sad. Una rabbia contenuta, ma con un’energia che pervade tutti e che sembra destinata a durare a lungo.

L’ atmosfera

Si può riassumere così l’atmosfera di domenica sera a Belgrado, dove è andata in scena una delle più massicce proteste degli ultimi anni. Protagonisti decine di migliaia di persone – 29 mila secondo il ministero degli Interni – in gran parte giovani, quei ragazzi serbi che da settimane occupano università e protestano pacificamente, chiedendo giustizia per la tragedia della stazione di Novi Sad (15 morti). Ma anche stop a corruzione e nepotismo e un repulisti generale, con moltissimi che evocano le dimissioni del presidente Aleksandar Vučić. Sono le petizioni lette ieri su poster e cartelli, in una Slavija, una delle piazze principali di Belgrado, stracolma di gente.

Giovani e ragazzi in piazza

La protesta in piazza a Belgrado
La protesta in piazza a Belgrado

A farla da padrone, giovani e ragazzi – ma in piazza a dar man forte c’erano anche pensionati, famiglie, agricoltori, intellettuali e attori – talmente tanti che a un certo punto persino le connessioni internet sono saltate. Sono scesi in strada senza bandiere di partiti, ma con una rabbia diffusa contro tutti quelli che detengono il potere, a Belgrado. «Avete le mani sporche di sangue» e «Vučić dimettiti», gli slogan più gettonati. «Ogni azione produce una contro-reazione», «non vogliamo le ferie ma giustizia», «la corruzione uccide», alcune delle scritte più ripetute sugli striscioni della “Pantera” serba. Che ha gli artigli assai affilati.

La Serbia si ferma

«Noi abbiamo bloccato tutto, ma è la Serbia intera che deve ora fermarsi», l’auspicio di una giovane studentessa. «Non manifestiamo solo per Novi Sad, che è la goccia finale, vogliamo che il sistema cambi», spiega invece Lazar, da Zrenjanin. «Ci sono tante ragioni per protestare», ma in generale «vogliamo decidere noi in che direzione deve andare il Paese», fa eco Djordje, da Belgrado. Tanti altri studenti non parlano però con i giornalisti, chiedono i tesserini per timore di infiltrati. E una ragazza con fischietto si fa portavoce, spiegando che «possono parlare solo i plenum» universitari.

Gli anziani a sostenere i giovani

In piazza, anche tanti anziani. «Sono venuto a sostenere i nostri giovani, perché se loro se ne vanno, non abbiamo più nulla in cui sperare» osserva un pensionato, Aleksandar, mentre dietro svettano striscioni con impronte di mani insanguinate, simbolo delle proteste di oggi in Serbia, assai simili ai pugni neri di Otpor, il movimento contro Milosevic.

Ma a che punto è, la protesta? È stato illustrato in una «lettera agli studenti di tutto il mondo», vergata in maniera collettiva dai ragazzi serbi, che hanno ricordato di avere ora «pieno controllo di 62 facoltà su 80», senza contare le tante scuole superiori in trincea. E che la loro, quella attuale, è «la più grande protesta» nei Balcani «dal 1968», anno caldissimo anche nella Jugoslavia di Tito.

Studenti delusi dal potere

Studenti che vogliono fare da soli, troppe volte sono rimasti delusi da chi è al potere e «dall’opposizione, che finora si è dimostrata incompetente». È anche per questo «abbiamo preso in mano la situazione», perché non solo la Serbia ma «il mondo è vicino al collasso, la democrazia rappresentativa sta crollando e il nostro futuro è a rischio. E l’unica via è prendere il controllo e cambiare rotta». 

 

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