Belgrado apre le porte ai soldati Usa per l’esercitazione targata Nato

Il messaggio dall’ambasciata americana: accorciata la strada verso l’Ue. Mosca scruta le manovre
Stefano Giantin
Militari in una foto rilasciata dal ministero della difesa serbo
Militari in una foto rilasciata dal ministero della difesa serbo

BELGRADO Mosse all’apparenza secondarie a volte rivelano cambiamenti potenzialmente epocali. Ma non mancano di provocare polemiche e mal di pancia, in chi vede il tutto come una sorta di arrischiato voltafaccia. O perfino di tradimento. È il quadro che si sta concretizzando in Serbia, Paese tradizionalmente considerato modello di “Giano bifronte” in politica estera e di sicurezza, un occhio rivolto all’Ue cui aspira, l’altro che si indirizza verso Pechino e soprattutto Mosca, malgrado la guerra in Ucraina e le tante critiche per le mancate sanzioni contro la Russia.

Le cose però stanno per prendere una piega diversa, più o meno dietro le quinte. Ne è una prova una grande esercitazione militare partita ieri in Serbia: nome in codice “Platinasti vuk 23”, lupo di platino. Esercitazione, della durata di due settimane, che non è una delle tante svolte in questi mesi di guerra, in Europa. Intanto, rappresenta un unicum. Belgrado infatti a inizio 2022 aveva introdotto una “moratoria” alle manovre militari con partner stranieri, dopo riprovazioni e pressioni arrivate soprattutto da Bruxelles per passate esercitazioni controverse, ad esempio a fianco dell’esercito bielorusso o russo prima dell’invasione dell’Ucraina. Ma c’è di più. A Platinasti vuk, infatti, parteciperanno moltissimi militari di Paesi occidentali, membri della Nato, tra cui anche un centinaio di soldati americani, oltre a croati, ungheresi, greci, britannici e francesi. Si tratta di semplici esercitazioni da tempo programmate, con partner internazionali con cui la Serbia già da anni è impegnata in «operazioni multinazionali» di pace, aveva assicurato già in marzo il ministero della Difesa serbo. La Serbia continua a essere «militarmente neutrale, non modifichiamo la nostra posizione e non entreremo nella Nato», aveva assicurato anche il presidente Aleksandar Vučić a fine aprile.

Ma la realtà potrebbe essere ben diversa. Lo ha sostenuto fonte più che autorevole, un portavoce dell’ambasciata americana a Belgrado, che a Radio Europa Libera ha suggerito che, in realtà, il “Lupo” serbo sta perdendo il pelo della neutralità. E l’esercitazione con l’odiatissima – tra i serbi – Alleanza atlantica lo confermerebbe. La Serbia, ha detto la fonte di Washington, «ha fatto la scelta di essere parte dell’Occidente e ciò comprende anche un’addizionale integrazione nelle strutture di sicurezza euroatlantiche e con le forze armate partner», la frase-chiave. E poi la promessa: con queste mosse – ma anche con il presunto tacito via libera all’arrivo di munizioni serbe all’Ucraina, svelato proprio in queste settimane – Belgrado «accorcia la strada verso la piena adesione all’Ue».

E Mosca? Neppure il Cremlino sembra aver creduto alla versione di una banale esercitazione, assicurando che le manovre non passeranno «inosservate» a Mosca e la Russia «presterà molta attenzione» agli abboccamenti sempre più stretti tra Serbia e Occidente. Ma attenzione – anzi, rabbia – c’è anche in ampie parti dell’opposizione serba, più che in una opinione pubblica fieramente contraria alla Nato, che è assai poco informata sulle esercitazioni programmate con i militari occidentali. Si tratta di una «violazione» della moratoria decisa nel 2022 e della «conferma della svolta a Occidente» di Vučić, ha accusato la coalizione Nada. Serve chiarezza, la gente deve sapere «chi sostiene quella Nato che ci ha bombardato», ha rincarato il leader dell’estrema destra di Dveri, Bosko Obradović, mentre i suoi sostenitori parlano di «dito nell’occhio alla Russia».

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