Belgrado apre le porte ai soldati Usa per l’esercitazione targata Nato

BELGRADO Mosse all’apparenza secondarie a volte rivelano cambiamenti potenzialmente epocali. Ma non mancano di provocare polemiche e mal di pancia, in chi vede il tutto come una sorta di arrischiato voltafaccia. O perfino di tradimento. È il quadro che si sta concretizzando in Serbia, Paese tradizionalmente considerato modello di “Giano bifronte” in politica estera e di sicurezza, un occhio rivolto all’Ue cui aspira, l’altro che si indirizza verso Pechino e soprattutto Mosca, malgrado la guerra in Ucraina e le tante critiche per le mancate sanzioni contro la Russia.
Le cose però stanno per prendere una piega diversa, più o meno dietro le quinte. Ne è una prova una grande esercitazione militare partita ieri in Serbia: nome in codice “Platinasti vuk 23”, lupo di platino. Esercitazione, della durata di due settimane, che non è una delle tante svolte in questi mesi di guerra, in Europa. Intanto, rappresenta un unicum. Belgrado infatti a inizio 2022 aveva introdotto una “moratoria” alle manovre militari con partner stranieri, dopo riprovazioni e pressioni arrivate soprattutto da Bruxelles per passate esercitazioni controverse, ad esempio a fianco dell’esercito bielorusso o russo prima dell’invasione dell’Ucraina. Ma c’è di più. A Platinasti vuk, infatti, parteciperanno moltissimi militari di Paesi occidentali, membri della Nato, tra cui anche un centinaio di soldati americani, oltre a croati, ungheresi, greci, britannici e francesi. Si tratta di semplici esercitazioni da tempo programmate, con partner internazionali con cui la Serbia già da anni è impegnata in «operazioni multinazionali» di pace, aveva assicurato già in marzo il ministero della Difesa serbo. La Serbia continua a essere «militarmente neutrale, non modifichiamo la nostra posizione e non entreremo nella Nato», aveva assicurato anche il presidente Aleksandar Vučić a fine aprile.
Ma la realtà potrebbe essere ben diversa. Lo ha sostenuto fonte più che autorevole, un portavoce dell’ambasciata americana a Belgrado, che a Radio Europa Libera ha suggerito che, in realtà, il “Lupo” serbo sta perdendo il pelo della neutralità. E l’esercitazione con l’odiatissima – tra i serbi – Alleanza atlantica lo confermerebbe. La Serbia, ha detto la fonte di Washington, «ha fatto la scelta di essere parte dell’Occidente e ciò comprende anche un’addizionale integrazione nelle strutture di sicurezza euroatlantiche e con le forze armate partner», la frase-chiave. E poi la promessa: con queste mosse – ma anche con il presunto tacito via libera all’arrivo di munizioni serbe all’Ucraina, svelato proprio in queste settimane – Belgrado «accorcia la strada verso la piena adesione all’Ue».
E Mosca? Neppure il Cremlino sembra aver creduto alla versione di una banale esercitazione, assicurando che le manovre non passeranno «inosservate» a Mosca e la Russia «presterà molta attenzione» agli abboccamenti sempre più stretti tra Serbia e Occidente. Ma attenzione – anzi, rabbia – c’è anche in ampie parti dell’opposizione serba, più che in una opinione pubblica fieramente contraria alla Nato, che è assai poco informata sulle esercitazioni programmate con i militari occidentali. Si tratta di una «violazione» della moratoria decisa nel 2022 e della «conferma della svolta a Occidente» di Vučić, ha accusato la coalizione Nada. Serve chiarezza, la gente deve sapere «chi sostiene quella Nato che ci ha bombardato», ha rincarato il leader dell’estrema destra di Dveri, Bosko Obradović, mentre i suoi sostenitori parlano di «dito nell’occhio alla Russia».
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