Bosnia, la Procura ordina l’arresto di Dodik

«Attentato all’ordine costituzionale» dalle ultime leggi approvate in Republika Srpska. La reazione: «Vogliono distruggerci»

Stefano Giantin
Milorad Dodik, il presidente serbo-bosniaco, nazionalista filorusso, per il quale è stato richiesto l’arresto da parte della Procura nazionale della Bosnia-Erzegovina
Milorad Dodik, il presidente serbo-bosniaco, nazionalista filorusso, per il quale è stato richiesto l’arresto da parte della Procura nazionale della Bosnia-Erzegovina

Un regalo di compleanno sicuramente sgradito. E dalle conseguenze difficilmente governabili, per l’intera Bosnia-Erzegovina.

Regalo che è stato consegnato oggi, mercoledì 12 marzo, dalla Procura nazionale della Bosnia-Erzegovina nelle mani del presidente serbo-bosniaco, il nazionalista filorusso Milorad Dodik – proprio nel giorno del suo 66/mo compleanno – accompagnato da misure simmetriche decise anche contro il premier della Republika Srpska (Rs), Radovan Višković, e il presidente del parlamento dell’entità politica dei serbi di Bosnia, Nenad Stevandić.

 

La Procura

Procura che ha emesso infatti un ordine di comparizione “con la forza” nei confronti dei tre massimi leader politici di Banja Luka, colpevoli di non essersi presentati a una prima convocazione degli inquirenti, che indagano i tre per «attentato all’ordine costituzionale». Attentato, ricordiamo, che sarebbe stato compiuto da Dodik e dal suo entourage in particolare premendo sull’acceleratore di controverse leggi, approvate al Parlamento di Banja Luka come rappresaglia alla condanna emessa contro Dodik per disubbidienza verso le decisioni dell’Alto rappresentante.

Le leggi di fatto mettono fuorilegge in Republika Srpska le istituzioni centrali di magistratura e polizia, tra cui l’Agenzia per la sicurezza Sipa, ma sono state subito cassate dalla Consulta di Sarajevo.

La Procura, per eseguire il fermo, ha ordinato proprio alla Sipa di fermare Dodik, Višković e Stevandić, conducendoli davanti agli inquirenti per rispondere alle domande degli stessi. Inevitabilmente, la richiesta di arresto ha fatto riesplodere i contrasti interetnici.

Le reazioni 

Ad aprire le danze, è stato il ministro degli Interni della Rs, Siniša Karan, che ha assicurato che «nessuno sarà arrestato» nell’entità serbo-bosniaca sottolineando che il suo dicastero lavorerà per «proteggere l’ordine costituzionale».

Rs che reagirà «con ferocia» a ogni forma di «radicalizzazione» voluta da Sarajevo, ha minacciato invece Radovan Kovačević, stretto collaboratore e consigliere di Dodik. E poi è stato lo stesso Dodik a parlare, con toni sopra le righe. «Per il mio compleanno ho ricevuto un biglietto d’auguri da Sarajevo», ha esordito, accusando subito dopo i procuratori «musulmani» di aver lanciato un attacco «per distruggere la Rs».

Dodik che ha poi ribadito che le leggi nel mirino delle autorità centrali rimangono valide e che dunque la Sipa non dovrà neppure provare ad arrestarlo. Poi ha minacciato di dichiarare l’istituzione dell’Alto rappresentante «un’organizzazione criminale» e ha giurato che non abbandonerà mai la Rs.

Di certo, l’atto della Procura di ieri è una sfida, nella lettura di Dodik, che rischia di far saltare definitivamente in aria l’unità nazionale. E «fra qualche mese sul terreno lo stato delle cose apparirà simile a quando si è dissolta la Jugoslavia», ha minacciato il leader serbo-bosniaco. Non sono parole vuote, dato che il parlamentino serbo-bosniaco ha iniziato a discutere una nuova Costituzione, che sulla carta allontanerebbe ulteriormente la Rs dallo Stato centrale, ma non si tratta di attacco a Sarajevo, assicurano da Banja Luka.

Di certo, parliamo di un «pericolo serio» per le istituzioni bosniache, ha ammonito l’Alto rappresentante. In caso di arresto di Dodik si rischia «la guerra civile», l’avvertimento del premier dimissionario serbo Vučević, mentre il presidente Vučić ha assicurato che Belgrado non approverà mai il fermo del leader serbo-bosniaco.

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