Cortei in tutta la Serbia e la tensione sale, Vučić: «Per il 15 marzo si preparano incidenti»
Le nuove manifestazioni a Belgrado e in molte altre città del Paese. Il presidente lancia l’allarme per sabato. Aggredito il ministro Selakovic

Donne e ragazze «in prima fila», perché «senza di noi il mondo si ferma», gli slogan in onore dell’8 marzo ben in vista sugli striscioni. E dietro studenti, giovani, pensionati, cittadini di tutte le età, agricoltori arrivati dalla provincia, lavoratori. È lo scenario osservato a Belgrado – ma manifestazioni speculari si sono tenute in molte altre città della Serbia – dove si è assistito a quella che potrebbe essere stata la prova generale della grande manifestazione in agenda sempre nella capitale serba il prossimo 15 marzo.
«Non voglio rose, voglio la rivoluzione», la scritta mostrata in piazza a Belgrado da una giovane, a confermare visivamente che le proteste guidate dagli studenti, scoppiate dopo la tragedia alla stazione di Novi Sad, si avvicinano a un momento-chiave. Sabato comunque sono state come sempre colorate e pacifiche, con enormi folle a marciare in città, scene viste anche venerdì, in occasione dello “sciopero generale” indetto dai giovani indignados. Momenti di tensione non sono però mancati, come quando la polizia ha bloccato i trattori degli agricoltori, diretti in centro.
Il clou della protesta, quattro cortei di «lavoratori e studenti, fianco a fianco», lo slogan della manifestazione, confluiti in serata nella centralissima Trg Republike per esprimersi reciproca solidarietà, chiedere giustizia per Novi Sad, stop a nepotismo e corruzione, un sistema migliore.
Ma c’è anche un’altra campana. È quella del presidente Aleksandar Vučić, che dopo aver tentato di placare la rabbia della piazza facendo appello al dialogo e sostenendo di aver soddisfatto le richieste degli studenti, ora ha completamente cambiato approccio alla crisi. Vučić che, in un discorso alla nazione, ha rievocato lo scenario di una “rivoluzione colorata”, affermando che «si sa che si pianificano incidenti per il 15 marzo», considerato da molti il giorno della resa dei conti, e che si va verso una «radicalizzazione» che sarebbe sostenuta dalle opposizioni.
I «numeri» delle piazze degli indignados sarebbero «in calo» e dunque, dopo quattro mesi di proteste, il movimento di protesta dovrebbe «finire il lavoro» per soddisfare i desiderata di «chi dall’estero ha investito enormi somme di denaro per abbattere un governo sovrano», ha rincarato. Ha poi rilanciato: «Molti finiranno in galera quando compiranno reati, altri capiranno di essere stati ingannati da politici che hanno promesso che con la violenza si può ottenere qualcosa». Di certo, sabato 15 marzo «fischieremo la fine».
Fine di una partita che ha paralizzato e diviso la Serbia e che ora appare destinata ad accendersi. Lo conferma l’altissima tensione venerdì notte a Belgrado tra misteriosi studenti “pro-Vučić”, accampatisi davanti alla presidenza per richiedere di tornare nelle aule e i dimostranti. Ma anche la grave aggressione contro il ministro serbo della Cultura, Nikola Selakovic, fedelissimo di Vučić. «Preferiscono una Serbia nel caos e in preda alla violenza», ha sostenuto Selakovic. —
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