Croazia entrata in Schengen, in stallo i confini marittimi con la Slovenia

Il traguardo raggiunto da Zagabria non ha ancora sciolto il nodo delle delimitazioni marittime. Più conveniente a questo punto puntare sulla cooperazione nel settore energetico

Mauro Manzin
Una visione aerea del Golfo di Pirano conteso tra Slovenia e Croazia
Una visione aerea del Golfo di Pirano conteso tra Slovenia e Croazia

A volte l’Europa è strana, contraddittoria, financo reticente in alcune sue cecità politiche. A volte è troppo “pignola”, altre fa finta di non vedere. E in quest’ultima categoria ricade il recente ingresso della Croazia nell’area Schengen, benedetto dai turisti di mezza Europa che amano crogiolarsi al sole delle coste istriane, quarnerine e dalmate e che relegheranno le lunghissime e lentissime code ai valichi sloveno-croati nella storia delle “migrazioni” ludiche.

Sì, perché “regolamento alla mano”, visto che tra Croazia e Slovenia il confine marittimo e terrestre non è ancora definito, la pratica Schengen poteva rimanere nel cassetto per lungo tempo ancora. Ma, come scrisse già Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: «Cambiare tutto per non cambiare nulla», è anche questa una politica. Lo ha capito Bruxelles, si sono adeguate Lubiana e Zagabria.

E così se per i pescatori sloveni e croati che tirano a campare tra costi sempre più elevati e rese sempre più misere, nel Golfo di Pirano, la fetta più contesa tra i due Paesi, non cambia nulla. Il confine c’è, non c’è, forse... Restano le multe che i rispettivi Stati hanno comminato ai pescatori che hanno violato i confini, disegnati da Lubiana e dall’arbitrato internazionale in un modo e da Zagabria, che quel arbitrato non riconosce, in un altro. Multe che nessuno oggi sarebbe in grado di pagare e, per ora, nessuno esige. E che galleggiano lì, nelle acque del golfo come i pescherecci, alcuni con la bandiera col Tricorno, altri con quella della Scacchiera.

Ma nella certezza dell’incertezza e l’evolversi della situazione geopolitica in Europa, con la guerra in Ucraina e la crisi energetica che ne è derivata dopo l’applicazione delle sanzioni economiche al russo invasore, Lubiana e Zagabria sembra che quell’incertezza vogliano trasformarla in certezza. Sarebbe troppo costoso oggi iniziare a rinfocolare un contenzioso che è già stato fin qua troppo oneroso (leggi arbitrato internazionale). La nebbia diplomatica cala dunque su di esso e il treno croato entra in Schengen quasi invisibile tra quel confine che c’è, non c’è, forse...

Oggi «con i prodotti energetici di transizione come il gas e l'energia nucleare, ci sono esigenze e opportunità di cooperazione, dallo stoccaggio in Croazia (Lng a Veglia), al potenziamento del gasdotto per una maggiore fornitura (verso la Slovenia), all'investimento congiunto nel secondo blocco della centrale nucleare di Krsko» - ha spiegato il politologo internazionale Marko Lovec al quotidiano di Lubiana Delo - «vedo il potenziale più nella cooperazione e nella ricaduta della cooperazione in altre aree che nel condizionamento e nel ricatto. Il primo genera fiducia e approfondisce la cooperazione, mentre il secondo genera sfiducia e risentimento». Anche l’analista croato Denis Avdagić è sulla stessa lunghezza d’onda. «L'arbitrato è una questione che la politica croata ha completamente chiuso. Poiché è consapevole che in Slovenia è il contrario, la Croazia per ora non prende iniziative per una soluzione», ha spiegato Avdagić.

Valutazioni analoghe sulla situazione politica interna croata si ritrovano tra le fonti slovene, le quali ritengono che il lodo arbitrale per il governo di Andrej Plenković diventerebbe, nel migliore dei casi, accettabile solo con un nuovo nome o una “nuova confezione”. Avanti così, dunque, ormeggiati nel porto delle nebbie per evitare collisioni, per non dover chiedersi se il confine c’è, non c’è, forse... —

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