Dal fisco alla polizia: i serbi di Bosnia evocano la via della secessione

Chiesto il ritiro del magistrato dalla Consulta di Sarajevo

«Con Belgrado creeremo un unico Stato: è un nostro diritto»

Stefano Giantin Belgrado
Milorad Dodik, leader nazionalista filorusso e secessionista
Milorad Dodik, leader nazionalista filorusso e secessionista

BELGRADO Altri colpi al cuore dell’unitarietà di uno Stato, la Bosnia-Erzegovina, già debilitato da anni di controversie e contese. Sono quelli sferrati ancora dalla leadership politica dei serbo-bosniaci, che rischiano di destabilizzare il Paese. Il Parlamentino serbo-bosniaco ha ufficialmente richiesto, col sì di 47 deputati e il voto contrario di 11, il ritiro dei magistrati serbi - meglio, dell’unico ora in carica, Zlatko Knezević - dalla Corte costituzionale centrale di Sarajevo, potenzialmente paralizzando i lavori della Consulta, certo delegittimandola.

La mossa va letta nell’ambito della querelle sugli immobili, con Banja Luka che da mesi accusa la Consulta di aver violato i diritti dei serbo-bosniaci cassando controverse norme fortemente volute da Banja Luka e che miravano a trasferire il controllo delle proprietà pubbliche localizzate in Republika Srpska (Rs) dallo Stato centrale a quello dell’entità politica dei serbi di Bosnia. La decisione della Consulta aveva fatto andare su tutte le furie il presidente della Rs, il nazionalista filorusso Milorad Dodik, che aveva bollato come «incostituzionali» le decisioni stesse della Corte di Sarajevo. Ora il redde rationem, insidioso perché va letto nel contesto di altre mosse della dirigenza serbo-bosniaca. Il Parlamento di Banja Luka ha infatti confermato la rotta che dovrebbe portare in futuro la Rs a dotarsi di una magistratura autonoma da quella centrale, a un sistema fiscale indipendente e persino a forze armate ad hoc, una vera e propria semi-secessione. Ma forse la secessione a tutto tondo è il vero obiettivo. È quanto ha sostenuto Dodik stesso giorni fa, resuscitando il suo cavallo di battaglia più pernicioso. I serbi di Rs e quelli di Serbia «fanno parte di un’unica nazione e un giorno saremo un solo Stato, nessuno ce lo impedirà, perché è un nostro diritto ed è la nostra storia», ha sentenziato Dodik.

Solo boutade, come tante in passato? Forse, ma le tante provocazioni sommate preoccupano molto, dentro e fuori dalla Bosnia. Sulla Consulta reazione durissima è arrivata dal membro bosgnacco della presidenza tripartita, Denis Becirović, che ha accusato Dodik e i suoi di aver ordito un piano «enormemente pericoloso replicando i metodi usati da Karadzić nel 1992»: valutazione condivisa da molti partiti a Sarajevo che avevano chiesto già alle autorità di mettere sotto inchiesta chi «mina l’integrità territoriale» della Bosnia. Becirović giorni fa aveva lanciato un allarme ancora più forte chiedendo «urgenti» rinforzi per la missione di peacekeeping Eufor, perché le sparate secessionistiche di Dodik minacciano la «stabilità» del Paese. «Non c’è alcun problema di sicurezza in Bosnia», ha replicato la delfina di Dodik, membro serbo della presidenza, Zeljka Cvijanović. Ma che il quadro sia in peggioramento lo aveva detto anche la Ue, dopo le parole sulla secessione. E soprattutto Washington. Che ha pubblicamente avvisato Dodik: gli Usa non staranno a guardare, mentre il leader serbo-bosniaco «spinge la Bosnia verso un conflitto».

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