Diana, la “Schindler dei serbi”: ritrovata la lista dei bimbi salvati

BELGRADO. Una scoperta definita – e a ragione - epocale a Belgrado. E che potrebbe permettere, a quasi ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, di fare luce su una delle più massicce e temerarie azioni di salvataggio di persone – di bambini - la cui vita era minacciata dalla ferocia dei nazisti o meglio, in questo caso, di loro aiutanti. E addirittura potrebbe permettere ai sopravvissuti ancora in vita di mettersi finalmente in contatto con le loro vere famiglie e i loro discendenti.
Sono questi i contorni della “bomba” storiografica esplosa nella capitale serba. Il Museo per le vittime del genocidio di Belgrado ha infatti reso noto di aver fortunosamente messo le mani su una lista che si pensava fosse stata distrutta, o in qualche modo andata perduta per sempre. La lista, con ben 5.800 nomi di bambini, fu compilata nel 1942 da Diana Budisavljević, la “Schindler dei serbi”, ed è stata ritrovata, grazie al lavoro dei ricercatori del museo e delle autorità serbe, negli archivi dell’Istituto per i bambini sordi di Zagabria e portata a Belgrado.
Che importanza ha, quell’elenco? Enorme, perché riporta indietro le lancette del tempo a otto decenni fa, ai tempi dello Stato Indipendente di Croazia (Ndh), retto dal “duce” ustascia Ante Pavelić, impegnatissimo non solo a collaborare con la Germania di Hitler ma anche a sterminare ebrei, rom e serbi in lager terribili, il più tristemente celebre quello di Jasenovac, dove neppure i più piccoli venivano risparmiati, facendo sollevare le sopracciglia persino a molti gerarchi nazisti, colpiti da tanta crudeltà.
Ma a esserne colpita, all’epoca, fu anche Diana Budisavljević, nata Obexer nel 1891 in Austria, sposatasi con il medico zagrebese Julije Budisavljević e residente a Zagabria ai tempi del regime ustascia. Diana – una figura per decenni dimenticata – scioccata dalle pratiche sterminatrici degli sgherri di Pavelić, si mobilitò utilizzando le sue origini austriache. Ottenne un lasciapassare da un ufficiale tedesco. Il suo obiettivo, concretizzato con l’aiuto di una rete di collaboratori croati, inclusi alti prelati, fu quello di salvare più bimbi serbi possibile dalle grinfie degli ustascia, liberandoli dalla prigionia – dai campi di Lobor, Gornja Rijeka, Stara Gradiska, Jasenovac, Mlaka e Jablanac - per poi consegnarli a famiglie croate o a istituzioni e ospedali, per proteggerli dalla furia ustascia. Il fine ultimo era quello di riconsegnarli ai genitori, una volta passata la tempesta. «Akcija Diane Budisavljević», così l’aveva chiamata la stessa Diana, si basava – oltre che sul coraggio della donna e dei suoi cooperatori - anche su precise liste sulle quali la donna registrava i nomi dei bambini salvati, i loro dettagli personali, nomi dei genitori e delle istituzioni o famiglie d’affido. Secondo le stime, Budisavljević avrebbe così salvato dalla morte svariate migliaia di bambini serbi – forse 12mila.
Ma qualcosa, alla fine della guerra, andò storto. Vista dalle nuove autorità al potere nella Jugoslavia socialista come una “borghese” e per di più straniera, le furono confiscate le liste dei bambini, rendendo così difficilissimo rimettere in contatto i minori e le famiglie d’origine, se sopravvissute. Diana fu poi condannata alla damnatio memoriae e morì dimenticata nel 1978 a Innsbruck. Un’onta durata fino agli Anni Duemila, quando la storia della “Schindler” balcanica venne finalmente svelata e le furono tributati onori a Belgrado e intitolati parchi in Croazia.
Ora il coronamento, con la scoperta della lista «dettagliata di circa 5.800 bambini dei 12.000 salvati» da Budisavljević «dai lager della morte» della Croazia di Pavelic, «alcuni riservati ai bimbi», spiega al Piccolo il direttore del Museo, Dejan Ristić. L'elenco, conferma Ristić, contiene «nomi e cognomi di ogni bambino, del padre e della madre, l’età confermata o stimata, la data e la denominazione del campo da cui furono salvati e i dati delle famiglie croate che presero i bambini in adozione o affidamento».
Sono proprio questi i riferimenti, assicura lo storico, che permetteranno «ai pochi in vita» fra i bimbi salvati al tempo, «ma anche a tanti loro discendenti, di scoprire finalmente la vera identità alla nascita, non quella imposta» ai bimbi durante e dopo la tragedia del conflitto. Si tratta, chiosa Ristić, di una «delle scoperte più significative degli ultimi decenni. E contribuisce a dare giustizia a migliaia di bambini serbi torturati nei campi di sterminio croati». Bimbi come Radmila Radonić, due anni e mezzo, salvata da Diana ma morta poi per gli abusi subiti in un lager. E fra i reperti ritrovati dal Museo ci sono anche i suoi orecchini, triste memoria di un passato che fa ancora male. E non va dimenticato.
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