Dodik continua le provocazioni e crea la “sua” polizia di frontiera
Il leader dei serbo bosniaci alza ancora il tiro dopo la condanna subita, ma rinuncia al viaggio in Russia

Un mattoncino alla volta tolto alla base della costruzione che regge lo Stato unitario. E prima o poi il palazzo non potrà che crollare rovinosamente. Potrebbe essere questa una metafora calzante per descrivere il sempre più pericoloso stato delle cose in Bosnia-Erzegovina, dove il muro contro muro tra leadership serbo-bosniaca e istituzioni centrali sta registrando giorno dopo giorno nuovi picchi di attrito.
Lo hanno confermato le ultime evoluzioni del presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik, leader nazionalista e filorusso che, via social, ha annunciato che Banja Luka va verso «la formazione di un corpo di polizia di frontiera della Republika Srpska», l’entità politica dei serbi di Bosnia, deputato a “sostituire” gli agenti di frontiera comandati dalle istituzioni centrali di Sarajevo.
La nuova polizia sarà costituita «nel rispetto degli accordi di Dayton», quelli che posero fine alla terribile guerra degli anni Novanta e «un gruppo di lavoro è stato già formato» a Banja Luka per finalizzare il progetto, ha detto sempre Dodik.
Ma perché questa nuova sfida all’unitarietà della Bosnia? La miccia è stata l’emissione di un mandato d’arresto contro Dodik, con misure cautelari simili decise nei confronti del premier della Republika Srpska, Radovan Višković, e del presidente del parlamento serbo-bosniaco, Nenad Stevandić. Il mandato è collegato al rifiuto di Dodik, Višković e Stevandić di presentarsi davanti agli inquirenti della Procura della Bosnia-Erzegovina, che indagano per un presunto gravissimo crimine: attentato all’ordine costituzionale.
I tre massimi leader serbo-bosniaci potrebbero essere arrestati in qualsiasi punto della frontiera della Bosnia-Erzegovina e all’interno del territorio nazionale, ma non all’estero dal momento che non è stato emesso ancora un mandato di cattura internazionale dall’Interpol.
Mandato contro Dodik che è esplosivo anche per un’altra ragione: il presidente serbo-bosniaco, infatti, aveva in programma l’ennesimo viaggio in Russia, già oggi, per incontrare il suo “mentore” Vladimir Putin. Ma la prospettiva di finire in manette gli ha fatto cambiare idea in extremis per il rischio che la polizia di frontiera bosniaca, quella vera, esegua l’ordine di arresto.
La possibile nascita di una polizia di frontiera serbo-bosniaca è solo l’apice di una serie di misure volute dall’avventurismo della leadership di Dodik dopo la sua condanna per disubbidienza contro le decisioni dell’Alto rappresentante della comunità internazionale, Christian Schmidt. Dodik, dopo la condanna, ha risposto sferrando una rappresaglia contro l’unità nazionale, facendo dichiarare “fuorilegge” nell’entità politica serbo-bosniaca, attraverso un controverso voto nel parlamentino della Republika Srpska, la stessa Corte che lo ha giudicato, la Procura statale centrale, il Consiglio superiore delle Procure giudiziarie e persino l’Agenzia statale per la sicurezza e la protezione. Scelte eversive tutte annullate dalla Consulta di Sarajevo, perché demoliscono l’unità nazionale.
Nel mentre, crescono le petizioni per «sanzioni» contro Dodik, «uno degli ultimi alleati di Putin in Europa» e colpevole di «minare le istituzioni pubbliche» della Bosnia-Erzegovina. È quanto hanno chiesto 28 europarlamentari lla commissaria a Kaja Kallas, mentre anche a Washington due membri del Congresso hanno denunciato i rischi dello «smantellamento degli accordi di Dayton».
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