Il Kosovo dà il via libera al monastero serbo e punta verso l’Europa

Pristina decide di mettere fine alla battaglia legale sulle proprietà

del complesso che si protrae dal 1999. E ora aspira all’ingresso nel l Consiglio d’Europa (Coe) 

Stefano Giantin
IL MONASTERO DI VISOKI DECANI, PATRIMONIO UNESCO
IL MONASTERO DI VISOKI DECANI, PATRIMONIO UNESCO

BELGRADO Anche la conclusione di una battaglia legale infinita può portare benefici, nei Balcani, placando appetiti di matrice nazionalistica, allentando tensioni interetniche, offrendo maggior sicurezza e tranquillità a dei monaci. E con alta probabilità spianando la strada a un nuovo successo diplomatico per chi ambisce ad aumentare il proprio riconoscimento a livello internazionale.

Si tratta del Kosovo che, dopo più di due decenni di tentennamenti e di resistenze alle pressioni della comunità internazionale, ha deciso finalmente di risolvere una volta per tutte una questione dolorosa e assai sentita, tra i serbi. E solo all’apparenza banale.

È quella che riguarda 24 ettari di terreni, di proprietà dei monaci serbo-ortodossi del monastero di Visoki Decani, perla architettonica di altissimo valore e cuore pulsante di religiosità, costruito nel XIV secolo e patrimonio mondiale dell’Unesco, oggi in territorio kosovaro.

Terreni agricoli e una grande foresta vicina al monastero che erano stati registrati a nome del monastero nel 1998, dopo una donazione dello Stato serbo, avvenuta nel 1997. Dopo la guerra del 1999, subito era però scoppiata una querelle: da una parte il monastero, forte delle carte in propria mano, e dall’altra la municipalità a controllo albanese di Desan/Decani e rappresentanti e ex lavoratori di ex imprese pubbliche, un fronte unitario quest’ultimo che sosteneva che i terreni non appartenessero ai monaci e dovessero dunque essere di fatto confiscati e restituiti al Comune e alle aziende. Nel 2002 un tribunale aveva deliberato, con sentenza più che controversa, che le terre fossero registrate a nome di quelle imprese, togliendole al monastero.

Chi aveva ragione? Successive sentenze e risoluzioni dell’Unmik, la missione Onu in Kosovo, ma soprattutto una decisione della stessa Consulta di Pristina, presa nel 2016, avevano comunque stabilito che le terre erano dei monaci. Ma il catasto non era mai stato cambiato, per pressioni politiche e locali – in spregio totale alla giustizia - alimentando annose tensioni e polemiche. In questi giorni, infine, la svolta. «Informiamo che il governo del Kosovo ha dato ordine all’Agenzia del catasto di rispettare il giudizio della Corte costituzionale» sui terreni. E il Catasto kosovaro vi ha dato seguito «incorporando i registri di proprietà» e restituendo anche legalmente i terreni ai monaci, ha reso noto l’esecutivo di Pristina in una nota verbale inviata al Consiglio d’Europa (Coe), la più autorevole organizzazione per la protezione dei diritti umani, in cui Pristina aspira ad entrare – ma da anni le porte sono sbarrate.

Le cose, ora, potrebbero cambiare, dopo che il Kosovo ha accettato di fare giustizia su Decani. Da qui l’auspicio, contenuto nella nota, che arrivi un via libera «positivo» all’ammissione al Coe «a maggio di quest’anno», nella speranza che il no della Serbia e di svariati Paesi europei che non riconoscono il Kosovo si risolva a diventare meno granitico.

E c’è un «beneficio aggiuntivo»: una volta nel Coe il Kosovo potrà partecipare anche «a Eurovision, aperta ai membri» del Consiglio, ha anticipato l’ex ministro degli Esteri kosovaro, Petrit Selim, senza dimenticare gli altri «tanti vantaggi» noti dell’ingresso del Consiglio. Di certo, la mossa è stata pensata anche per rabbonire i più stretti alleati, come gli Usa e il premier Kurti «si è piegato alle pressioni», ha confermato il politologo Lulzim Peci. Si tratta di una «decisione importante e difficile» da prendere, «vi ringrazio per questo passo», ha da parte sua affermato l’Inviato Usa nei Balcani, Gabriel Escobar, in questi giorni nella regione.

«Meglio tardi che mai, continuate a lavorare con i nostri partner euroatlantici», l’appello anche del premier albanese Edi Rama, mentre l’ambasciatore tedesco a Pristina, Jorn Rode, si è limitato a dire «finalmente è fatta», congratulandosi poi con il governo kosovaro. Per una mossa tardiva, ma benvenuta da tutti.

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