Il vicesindaco di Pola reclama il busto di Dante dall’arsenale di Venezia
L'opera, in bronzo, era stato portato dagli esuli nel 1947 al momento di abbandonare la città che stava per diventare jugoslava

POLA. Agli inizi del settembre prossimo il vicesindaco italiano del maggiore centro istriano, cioè Pola, Bruno Cergnul intende recarsi a Venezia in missione speciale per riportare a casa il Sommo poeta, o meglio il suo busto in bronzo che gli esuli avevano portato con sé nel 1947 al momento di abbandonare la città che stava per diventare jugoslava. Oltre al busto si erano portati dietro i resti mortali e il sarcofago di Nazario Sauro.
Solo vent’anni dopo la scultura venne tirata fuori da una cantina e collocata in una nicchia del muro esterno dell’Arsenale di Venezia dove si trova tutt’ora. «Le autorità della città lagunare non hanno ricevuto ancora la comunicazione ufficiale della mia iniziativa», ha spiegato Bruno Cergnul, «e sarà questo appunto il motivo del mio viaggio. Per quel che riguarda le persone da contattare mi sono consultato con l’amico Ettore Beggiato, già consigliere regionale del Veneto. Ancora non mi è chiaro – conclude Cergnul – se il tema riguardi l’amministrazione pubblica della città lagunare oppure il Ministero italiano della difesa, comunque lo scopriremo presto».
Interessante la vicenda storica del busto o almeno della sua copia che il vicesindaco vorrebbe riportare a Pola quale tassello prezioso del mosaico che raffigura la componente identitaria italiana della città. Tutto ebbe inizio verso l’anno 1.300 quando Dante in visita a Pola, ispirato dai sarcofagi di Pragrande (all’epoca i morti venivano seppelliti proprio qui), avrebbe scritto i seguenti versi nel IX Canto dell’Inferno: Si’ come ad Arli, ove Rodano stagna, si com’a Pola, presso del Carnaro ch’Italia chiude e suoi termini bagna, fanno i sepulcri tutt’il loco varo, cosi facevan quivi d’ogne parte, salvo che’l modo v’era piu’ amaro.
Ebbene l’inclusione del poeta di Pola all’interno dei confini dell’allora Italia, aveva fatto presa nel cuore degli intellettuali polesi di sentimenti nazionali italiani, che decisero di rendere omaggio al poeta con un busto. Le relative vicende vengono ricostruite da Bruno Crevato-Selaggi nel suo saggio “Il busto di Dante, già a Pola, ora all’arsenale di Venezia”, pubblicato nel 2017 dalla rivista Ateneo veneto.
La scultura, opera dell’artista romano Ettore Ferrari, venne scoperta nella loggia della Palazzina municipale nel 1901 in epoca austroungarica con l’approvazione delle autorità di Vienna. Venne però rimossa e distrutta nel 1915 dal governo asburgico subito dopo che l’Italia dichiarò guerra all’Austria. Poi con la vittoria nella Prima guerra mondiale, l’Italia aveva potuto estendere la sua sovranità anche sull’Istria per cui si era pensato di rivolgersi nuovamente ad Ettore Ferrari che aveva conservato il calco in gesso, per la fusione di un secondo busto identico al primo, da collocare nello stesso posto.
A tale scopo venne fatto uso del bronzo dei cannoni di una nave austriaca confiscata come bottino di guerra dalla Regia Marina italiana. Dante rimase in quel posto fino al 16 settembre quando, come detto, gli esuli decisero di portarlo con sé. Il sommo poeta divenne così uno dei passeggeri del piroscafo Toscana, uno dei simboli dell’esodo da Pola che stava per passare nelle mani di Tito. Venezia, stando al Protocollo di Kyoto del 2000, non ha l’obbligo di restituire il busto. Però, come detto, Cergnul, fortemente appoggiato in questa iniziativa dal sindaco di Pola Filip Zoričić, si accontenterebbe anche di una copia o replica.
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