La Serbia si “disarma”: in quattro giorni già consegnati 10mila fucili e pistole
Ottimi risultati per la campagna antiviolenza scattata dopo le stragi. Il Paese resta però ai primi posti in Europa per numero di ordigni

BELGRADO La piazza ribolle, in Serbia, dopo le stragi di dieci giorni fa e le nuove proteste contro la violenza e il governo, sempre più massicce, in attesa della grande “contromanifestazione” annunciata da Vučić e i suoi. Ma dietro le quinte qualcos’altro si muove. E ha un importante valore, in un Paese e una regione, quella balcanica, afflitta da decenni da un grave problema: la diffusione delle armi, legalmente detenute o meno. Armi, almeno quelle illegali, che stanno letteralmente “sparendo” giorno dopo giorno, almeno in Serbia.
La campagna
È il risultato della campagna «Consegna le armi!», lanciata dalle autorità serbe dopo i massacri della Ribnikar e dei villaggi vicino a Mladenovac. Campagna, ricordiamo, che permetterà per un mese, fino all’8 giugno, ai serbi che custodiscono in casa armi da fuoco ma anche esplosivi non regolarmente registrati di consegnarli alla polizia, senza temere conseguenze penali. Le cose poi cambieranno – e molto – dal 9 giugno, quando dovrebbero entrare in vigore nuove regole più restrittive e ci saranno pene draconiane per gli amanti di pistole e fucili non registrati.
I numeri
Quanti stanno accettando di consegnare le loro armi? Un numero molto, molto alto. Secondo le stime ufficiali, rese note dal presidente serbo Vučić, solo nei primi quattro giorni del programma di raccolta, sono state consegnate alle forze dell’ordine serbe quasi 10 mila tra pistole e fucili, ma anche all’incirca mezzo milione di munizioni e pure circa 900 ordigni esplosivi, tra cui 700 bombe a mano e granate. Una santa barbara in meno che renderà il Paese «più sicuro per i bambini» e per «tutti» i cittadini, ha assicurato Vučić, che ha sottolineato il totale parziale delle armi raccolte supera tutte le precedenti simili operazioni. Il leader serbo ha poi ribadito «chi consegna le armi non subirà alcuna conseguenza». E ogni pistola e pallottola in meno aiuta, perché «si dice che un’arma non spara da sola, ma se le persone non hanno pistole, il male in loro non può concretizzarsi», ha aggiunto.
Arresti e sequestri
Nel frattempo, la polizia continua a informare di arresti e di sequestri di armi illegali detenute in casa, da parte di persone che non hanno voluto consegnarle spontaneamente, operazioni che si moltiplicheranno da giugno in poi. Amnistia temporanea e mano dura allo stesso tempo che sono le uniche vie possibili, perché il problema è gigantesco. La Serbia, secondo i dati più recenti dello Small Arms Survey, avrebbe circa due milioni di armi in mano a civili, di cui meno della metà regolarmente denunciate, anche se le stime ufficiali serbe sono meno inquietanti.
Un contagio positivo
Da Belgrado, peraltro, si sta estendendo un “contagio” positivo. Anche in Montenegro, al terzo posto nel mondo proprio con la Serbia per diffusione delle armi in mano a civili, sono quasi 200 le pistole e fucili volontariamente consegnate alla polizia negli ultimi giorni, ha annunciato il ministro degli Interni Filip Adzic.
Il resto dei Balcani
Nulla sembra invece muoversi in Bosnia, dove l’anno scorso sono state confiscate solo 1.234 armi da fuoco. In circolazione, ce ne sarebbero centinaia di migliaia, solo un terzo regolarmente registrate. Pure in Kosovo sono tantissime, circa 400mila, solo un decimo circa legali, mentre in Macedonia del Nord le ultime stime parlano di 600mila pistole e fucili, solo 170mila i permessi.
Molto migliore la situazione in Croazia, con 390mila armi registrate su 576mila, secondo dati risalenti a qualche anno fa. E in Slovenia, la nazione con meno pistole nella regione. Ma qui le cose starebbero cambiando, con un aumento registrato negli ultimi anni di possessori legali, mentre le armi illegali non sarebbero molte, ha rassicurato in questi giorni la polizia di Lubiana.
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