Lubiana capitale di una mini Jugoslavia tra mille luminarie e troppi ćevapčići

Sempre più moderna ed elegante, la città sembra diventata meno slava, eppure nei locali prevalgono i cibi turco-balcanici e le pizze albanesi

Diego Marani
Lubiana sotto Natale
Lubiana sotto Natale

Lubiana brilla di mille luminarie in questo tramonto invernale. In lontananza le cime delle Alpi di Kamnik prendono l’ultimo sole mentre il castello sul colle si accende di viola, le strade lungo la Ljubljanica sono un festoso presepe di aperitivi, di bancarelle e di cori degli studenti che sotto il monumento a Prešeren raccolgono offerte per il loro ballo di fine anno.

La pedonalizzazione del centro ha reso la città silenziosa come un villaggio alpino. In giro si sentono solo i campanelli delle biciclette, qualche fisarmonica gitana, e il rassicurante ronzio delle Kavalier, le navette elettriche gratuite che sopperiscono al divieto totale di circolazione e vengono usate anche per le consegne di merci. Piccoli veicoli verdi e bianchi a cinque posti che sembrano le carrozzine di una giostra.

È sempre più moderna ed elegante Lubiana, non ha più nulla della grigia provincia jugoslava che era ed anche i caseggiati del socialismo reale, riverniciati e incappottati, adesso sembrano edilizia d’avanguardia.

Il Nebotičnik, il “grattacielo” che una volta era il palazzo più alto non solo della città ma di tutti i Balcani, ora deve fare i conti con un sacco di rivali, dal glaciale Crystal Palace allo sfacciato Hotel Intercontinental. Ma anche lui tutto restaurato, con un’aria un po’ newyorchese, non si fa complessi e il suo storico bar panoramico è sempre molto gettonato.

E ammodernandosi Lubiana sembra allontanarsi sempre più dal mondo degli slavi del sud, assomigliando quasi a una capitale nordica, più alpina che balcanica. Perfino la lingua suona meno slava in un paesaggio urbano così asettico, a conferma che le nostre nazioni sono tutte più o meno felici invenzioni.

Ma la questione identitaria qui deve davvero essere un cruccio se qualche giorno fa il quotidiano Dnevnik scriveva che per molti lubianesi in città si vendono troppi ćevapčići. La consigliera comunale Tina Bregant con un’interrogazione al consiglio comunale ha chiesto quali misure si intendano adottare per controllare l’eccessiva presenza di un’offerta gastronomica monotona, con piatti di tradizione culturale ripetitiva a base di carne macinata tipici dei Balcani, che secondo lei incidono sulla qualità della vita e addirittura minacciano l’identità della città.

Vero che qualcuno a Lubiana si sforza di riportare in auge la tradizione gastronomica slovena. Prestigiosi ristoranti come lo Štalca offrono i piatti più tipici come l’arrosto di maiale con gli “strucoli” di spinaci e l’hotel Slon propone la sua originale ricetta di Potica, tramandata da generazioni. Ma ecco che, invece, il centralissimo ristorante Šestica, fondato nel 1776, sul suo menù propone, accanto alla nazionalissima Ljubljanska, la trippa triestina, il manzo Angus e niente meno che la cotoletta alla milanese, alla faccia di Radetzsky, che abitava proprio qui e che l’avrebbe certamente chiamata Wiener Schnitzel.

E basta girare l’angolo per trovare uno degli innumerevoli ristoranti della catena Cewapi che imperversa in tutti i Balcani e offre tutta la gamma del grigliato turco-balcanico, dal piccantissimo sucuk alla jugoslavissima pleskavica.

Poco più in là lungo il fiume prospera la Baščaršija che più bosniaco di così non si può o il popolarissimo Čevabdžinica (la cevapciceria), davanti al Nebotičnik. Per non parlare delle pizzerie, che ormai di italiano hanno solo i nomi delle pizze, perché a farle sono pizzaioli albanesi.

Inevitabile se in Slovenia vivono ormai solo 2. 258 italiani ma 60.000 albanesi e 100.000 bosniaci. A prescindere dal menù, Lubiana rischia così di diventare suo malgrado la capitale di una piccola Jugoslavia di ritorno. —

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