Bosnia, mandato internazionale per arrestare Dodik e Stevandić

La richiesta della Procura inoltrata all’Interpol. Il leader nazionalista: «Abuso della magistratura»

Stefano Giantin
Il leader dei serbi di Bosnia Milorad Dodik
Il leader dei serbi di Bosnia Milorad Dodik

Una richiesta esplosiva, che rischia di portare a una rapida e pericolosa escalation in Bosnia-Erzegovina. Ha avuto grande eco la notizia della richiesta dell’emissione di un mandato d’arresto internazionale nei confronti del presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik, da tempo in rotta di collisione con le autorità centrali di Sarajevo.

Dodik continua le provocazioni e crea la “sua” polizia di frontiera
La redazione
Il leader dei serbi di Bosnia Milorad Dodik acclamato dai suoi sostenitori durante un comizio

L’annuncio è arrivato direttamente dal Tribunale della Bosnia-Erzegovina (Sud BiH), che ha fatto sapere di aver ricevuto il 26 marzo dalla Procura nazionale la domanda per l’emissione di mandati di cattura internazionale non solo contro Dodik, ma anche contro il presidente del parlamento della Republika Srpska, Nenad Stevandić. E di averla inoltrata all’Interpol, che dovrà ora decidere se emettere una “red notice” contro Dodik e Stevandić, di fatto trasformandoli in ricercati.

Contro i due era già stato emesso un mandato di arresto interno. Mandati, sia quelli nazionali sia quello internazionale, che riguardano l’ultima tenzone che oppone la leadership politica serbo-bosniaca alle autorità giudiziarie della Bosnia-Erzegovina.

Dodik e Stevandić, assieme al premier della Rs Višković, sono sotto accusa per aver «attaccato l’ordine costituzionale», un gravissimo crimine punibile, in caso di condanna, con pene fino a cinque anni di prigione. Tenzone che è scoppiata in reazione alla condanna di Dodik a un anno di galera e a sei di interdizione dai pubblici uffici per disobbedienza alle decisioni dell’Alto rappresentante della comunità internazionale, il tedesco Christian Schmidt.

Il giorno dopo la sentenza, il parlamentino della Republika Srpska, l’entità politica dei serbi di Bosnia, aveva approvato nuove controverse leggi rendendo di fatto “fuorilegge” nella Rs istituzioni come la Corte che aveva giudicato Dodik, la Procura statale centrale, il Consiglio superiore delle Procure giudiziarie e persino l’Agenzia statale per la sicurezza e la protezione (Sipa). A stretto giro di posta, la Corte costituzionale ha sospeso le leggi in questione, per palese incostituzionalità.

Ma dopo che Dodik ha insistito sul fatto che le nuove leggi sarebbero comunque entrate in vigore nell’entità serba, è stata aperta una nuova indagine penale, con le più alte cariche della Republika Srpska sospettate appunto di «attacco all’ordine costituzionale». Non è finita. Banja Luka ha, nel frattempo, approvato la bozza di una nuova Costituzione che mira a erodere ancora una volta poteri alle istituzioni centrali, evocando per di più la formazione di una propria polizia di frontiera.

A rendere il quadro ancora più fosco e complicato, il fatto che – malgrado il mandato di cattura interno – sia Dodik sia Stevandić abbiano “sfidato” la giustizia bosniaca. Stevandić, infatti, ha viaggiato tranquillo verso la Serbia per poi tornare in Republika Srpska. Dodik è andato oltre.

Dopo aver attraversato liberamente il confine tra Bosnia e Serbia, il leader serbo-bosniaco ha prima partecipato alle cerimonie ufficiali di commemorazione dei bombardamenti del 1999 a Belgrado. E in seguito è volato in Israele, da dove dovrebbe tornare la prossima settimana. «Niente di eccezionale, continua l’abuso della magistratura», il suo primo commento a caldo sul caso Interpol, aggiungendo che ora il problema si «internazionalizza». Ed è vero, dato che la Serbia ha formalmente contestato la richiesta di mandato Interpol. Perché politicamente motivata, almeno secondo Belgrado.

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