Niente libera circolazione nell’Ue. La beffa per i serbi del Kosovo

BELGRADO C’è una “riserva indiana” nel cuore dell’Europa, della cui esistenza pochi sono consapevoli. Ed è destinata a durare a lungo, con buona pace dei suoi abitanti e malgrado le promesse Ue, tra critiche e polemiche, mentre il resto del Paese festeggia.
Il Paese è il Kosovo che, dal primo gennaio, è entrato a tutti gli effetti nella lista delle nazioni i cui cittadini possono liberamente viaggiare nella Ue, per periodi fino a 90 giorni. Ma mentre i kosovari di etnia albanese esultano per il successo – e tanti sono già partiti per destinazioni europee, per la prima volta senza bisogno di un “lasciapassare” sul passaporto – altre migliaia rimangono loro malgrado a casa. E potranno andarsene solo con un visto. Sono i serbi che ancora vivono nell’ex provincia serba, quelli del nord e quelli delle enclave. È il risultato di un intricato problema, tra il politico e il burocratico, che appare di difficile soluzione.
I serbi del Kosovo – o almeno la stragrande maggioranza di loro – rifiutano infatti di richiedere l’odiatissimo passaporto della Repubblica del Kosovo, auto-dichiaratasi indipendente da Belgrado nel 2008 e mai riconosciuta dalla Serbia e da altri cinque Paesi Ue. Non possiedono però neppure un passaporto serbo “vero”, bensì uno di serie B, quello emesso dalla cosidetta “Koordinaciona uprava”, Centro di coordinamento ad hoc del ministero degli Interni serbo. E quel documento, considerato «illegale» da Pristina, non viene equiparato a quello serbo o a quello kosovaro, lasciapassare che permettono di viaggiare senza bisogno di visti in Europa.
«Con l’entrata in vigore dell’esenzione dall’obbligo di visti per i detentori di passaporto del Kosovo non c’è ragione per escludere i detentori di passaporti serbi del Centro di coordinamento» dai benefici della libera circolazione ed è necessario dunque dare anche a loro luce verde per i viaggi in Europa», aveva messo nero su bianco già a fine novembre una bozza di regolamento da presentare a Eurocamera e Consiglio europeo. Ma tutto è rimasto lettera morta, mentre il nervosismo e il risentimento tra i serbi del Kosovo, ultimi in Europa con l’incubo dei visti, cresce sempre di più – soprattutto tenendo conto del fatto che molti guardano già come a un’umiliazione il fatto che Belgrado abbia riconosciuto le targhe kosovare ufficiali, le “Rks”, permettendone l’ingresso in Serbia. Lo confermano, tra le altre, le dichiarazioni di Dragisa Mijačić, coordinatore di un gruppo di lavoro della società civile che monitora i progressi nei negoziati d’adesione della Serbia alla Ue relativamente a libertà, giustizia e sicurezza. «Non è bello iniziare l’anno nuovo con una menzogna, perché i cittadini serbi che risiedono in Kosovo sono privati del libero accesso all’area Schengen», ha twittato Mijačić, rispondendo a un tweet dell’Alto rappresentante Ue agli Esteri, Joseph Borrell, che aveva esultato per «la storica decisione» di abolire i visti per il Kosovo e per il fatto che «tutti i Balcani occidentali sono ora collegati all’area Schengen». Abolizione dei visti per i serbi «che doveva essere decisa da tempo» e attendere oltre mina «la credibilità» Ue, ha ammesso anche il politologo Bodo Weber a Kosovo Online.
Ma mentre Bruxelles e Belgrado tacciono, il problema sta diventando europeo. «Una minoranza che dovrebbe essere protetta», quella serba, viene invece esclusa dalla liberalizzazione dei visti, è una vergogna per l’Ue e indebolisce il già fragile processo d’adesione», ha commentato anche la deputata dell’ultrasinistra tedesca Żaklin Nastić. Malgrado critiche e appelli, tutto però indica che la riserva indiana resisterà. Almeno fino alle europee.
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