Mosca chiede consultazioni urgenti sulle sanzioni degli Usa al colosso serbo Nis

Il ministro degli Esteri Lavrov: «L’amministrazione Biden vuole che Belgrado tradisca la Russia»

Stefano Giantin
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov

Continua a tenere banco, anzi si allarga, il caso delle sanzioni americane annunciate la settimana scorsa contro il colosso serbo dell’energia, la Naftna Industrija Srbije (Nis), controllata dai russi di Gazprom – con Belgrado obbligata a “costringere” in qualche modo Mosca a uscire dal gigante petrolifero serbo per evitare il peggio. Caso che si è ulteriormente acceso ieri, con un intervento diretto del Cremlino sulla questione.

Ha parlato il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che ha svelato che Mosca ha già chiesto «consultazioni urgenti» con Belgrado sulla questione Nis. Sanzioni che non sarebbero americane, ma «dell’amministrazione Biden, dei Democratici», che avrebbero così dimostrato le loro «cattive maniere», ha esordito Lavrov, in quello che appare essere un tentativo obliquo di apertura alla controparte americana per favorire una marcia indietro sulle sanzioni, quando Trump rientrerà alla Casa Bianca.

Di certo, l’attuale governo Usa, ha continuato Lavrov, con le nuove misure punitive «antirusse» vorrebbe «creare problemi alla Serbia e al tempo stesso all’amministrazione Trump». Serbia che è sicuramente nella posizione più delicata e difficile. Si vuole «legare le mani» a Belgrado «chiedendo che tradisca la Russia», ha suggerito sempre il ministro degli Esteri di Mosca, che ha rivelato anche che la Russia, «in contatto con gli amici serbi», attende a stretto giro una qualche «risposta» sul destino che attende la Nis.

Destino, ricordiamo, che appare segnato. Lo stesso presidente serbo Aleksandar Vučić, infatti, ha evocato come unica chance per evitare le sanzioni un «ritiro totale degli interessi russi» da Nis, dal 2008 controllata da Gazprom, mentre il governo serbo detiene attualmente una quota di minoranza intorno al 30%. Vučić ha certamente puntualizzato che Belgrado, per non inimicarsi un prezioso alleato come la Russia, non desidera andare verso un «takeover ostile» al colosso energetico, confermando di voler concordare i prossimi passi con lo stesso Putin, mentre contatti sono stati stretti anche con Washington, ha fatto sapere il ministro degli Esteri serbo, Marko Djuric.

Di certo, il tempo stringe, dato che Belgrado, ha spiegato sempre Vučić, ha tempo solo fino al 25 febbraio per evitare lo scoglio delle sanzioni. E ieri, lo stesso presidente ha incontrato l’ambasciatore russo a Belgrado, Aleksandr Bocan-Kharcenko. Gli Usa, comunque, non scherzano. E non sembra vogliano fare retromarcia. Lo ha spiegato lo stesso Sottosegretario di Stato Usa agli Affari europei, James O’Brien, che ha difeso le nuove misure, spiegando che non hanno l’obiettivo di punire Belgrado, bensì nascono dalla necessità di inaridire le fonti finanziarie «usate dalla Russia per uccidere bambini, donne e civili» in Ucraina.

Washington, si è fatto scappare O’Brien senza fornire dettagli, avrebbe addirittura indicato a Belgrado la via per «rimuovere la proprietà russa» da Nis – bisogna arrivare allo zero nella casella delle azioni in mano a Mosca – il tutto «nel rispetto del diritto internazionale ed evitando problemi alle forniture». «Lo abbiamo fatto in passato, ce la faremo anche questa volta», ha affermato. Nis, ha ricordato, è stata acquistata dai russi «per pochi soldi, ha probabilmente fatto uscire dalla Serbia miliardi negli ultimi anni e ora il vostro Paese», ha detto ai serbi, «ha l’opportunità» di riprendere in mano la gestione di Nis «per il bene del popolo». —

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