La presidenza tripartita in Bosnia si spacca sull’arresto di Dodik
I rappresentanti bosgnacco e croato chiedono alla missione militare europea di fermare il leader serbo

La spaccatura in Bosnia arriva ai vertici dello Stato. I rappresentanti bosgnacco e croato della presidenza tripartita dalla guida del paese chiedono l’arresto del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, rendendo sempre più manifesta e preoccupante la crisi in atto in Bosnia-Erzegovina, lacerata dalla duratura crisi politica che vede contrapposte la leadership serbo-bosniache, le autorità centrali del paese e ora alcuni fra i massimi esponenti degli altri due gruppi etnici, bosgnacchi e croati.
Il quadro si è ulteriormente aggravato per la richiesta presentata dalla presidenza bosniaca alla missione militare Ue in Bosnia, la cosiddetta Eufor “Althea”. La presidenza, ricordiamo, non è caratterizzata da un’unica poltrona sulla quale sede il capo dello Stato, bensì da un organo collegiale composto da tre membri, uno per ciascuno dei tre maggiori gruppi etnici, bosgnacchi, serbi e croati, che a rotazione assumono il ruolo di presidente per otto mesi.
Ad accendere le micce sono stati il membro bosgnacco, Denis Bećirović, e quello croato, Željko Komšić, che hanno deciso di richiedere, a nome della presidenza tripartita, che Eufor fornisca assistenza alle forze dell’ordine bosniache per arrestare Dodik, su cui pende un mandato interno – ancora non eseguito – per «attentato all’ordine costituzionale». L’ordine di cattura è stato emesso dal Tribunale di Sarajevo, anche nei confronti del premier della Republika Srpska, l’entità politica dei serbi di Bosnia, Radovan Višković e contro il presidente del parlamento della Rs, Nenad Stevandić.
Il mandato Interpol contro Dodik, richiesto sempre da Sarajevo, è stato cestinato. Quello interno, tuttavia, vale ancora. E «la presidenza della Bosnia-Erzegovina chiede formalmente alle forze Eufor, di stanza nel Paese, di offrire assistenza alle agenzie di polizia» locali «per mettere in pratica le decisioni degli organi della magistratura» nazionale, si legge nella risoluzione.
L’atto, di per sé già esplosivo per i contenuti della richiesta, ha creato un nuovo terremoto in Bosnia. Questo perché è stato approvato e reso pubblico malgrado il voto contrario del membro serbo e presidente in carica, Željka Cvijanović, che ha evocato una sorta di complotto contro i serbi di Bosnia e contro lei stessa. Il voto, ha spiegato Cvijanović, non avrebbe alcun valore, dato che sarebbe appunto mancato il consenso di tutti i membri della presidenza. Non solo. Spingendo per l’arresto di Dodik e per il coinvolgimento di Eufor, Komšić e Bećirović avrebbero di fatto compiuto un’azione «separatistica», che avrebbe come solo obiettivo quello di «disgregare la Bosnia-Erzegovina» e «separare la Federazione» bosgnacco-croata dal resto del paese, ha accusato Cvijanović.
A gettare benzina sul fuoco è poi arrivato lo stesso Dodik, che ha affermato di sentirsi «perseguitato dai bosgnacchi» e pure dalle «piovre liberali globalizzate di Bruxelles», prima di spingersi a difendere le ragioni russe nell’aggressione all’Ucraina e definire «geniale» Putin. E rimangono così ancora tristemente inascoltate le parole dell’Alto rappresentante Ue agli Esteri, Kaja Kallas, secondo cui la «leadership della Rs sta minando l’ordine costituzionale e legale» ostacolando il «cammino verso l’Ue» del paese. Un cammino che appare, giorno dopo giorno, sempre più accidentato.
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