Repubblica di Verdis tra Serbia e Croazia: lo Stato che non c’è si rivolge a Onu e Ue
L’autoproclamata nazione si estende su una superficie di appena mezzo chilometro quadrato e protesta: «Cacciati dai poliziotti di Zagabria»

BELGRADO I confini, a trent’anni dalle guerre fratricide, in alcuni casi non sono stati ancora precisamente stabiliti dai nuovi Stati nati dal collasso dell’ex Jugoslavia, sempre litigiosi. Si rischia così di lasciare spazio, in piccoli lembi di terra la cui appartenenza non è ben definita, a qualche terzo incomodo, ossia alla nascita di pseudo-staterelli pronti a dare battaglia per la remotissima possibilità di un riconoscimento internazionale.
Il caso Liberland
Continua ad accadere sul Danubio, frontiera fluviale naturale tra Croazia e Serbia ma limite non ancora determinato ufficialmente da Zagabria e Belgrado. Lì da anni fa discutere il caso di Liberland, isoletta-terra di nessuno, non reclamata dalla Serbia, considerata propria da Zagabria ma non ufficialmente territorio croato, terra dunque nullius per questo “appropriata” dal ceco Vit Jedlicka e dichiarata indipendente nel 2015, ma non riconosciuta da alcun vero Stato.

La Repubblica di Verdis
Ma poco lontano, sempre sul Danubio, fa ora parlare di sé anche la Libera Repubblica di Verdis, tra fermi e promesse di dare battaglia.
È il giovane Daniel Jackson, nato a Melbourne ma residente a Dover, nel Kent, il fondatore e presidente di Verdis, 0,501 chilometri quadrati di estensione, «il più piccolo Stato al mondo dopo il Vaticano», si legge sul sito ufficiale della pseudo-nazione che ha lanciato una petizione online per chiedere a Onu e Ue nientemeno che «la condanna per violazione del diritto internazionale e dei diritti umani da parte della Croazia».
Il primo insediamento distrutto
«Verdis è stata fondata nel 2019 ma l’iniziativa non è decollata sino a fine 2022, era una terra non voluta da nessuno e riteniamo che dovremmo essere riconosciuti dai nostri vicini», esordisce Jackson con Il Piccolo. Ma il 2023 è l’anno-chiave. «A ottobre, dopo mesi di preparazione, abbiamo ufficialmente lanciato il primo insediamento, distrutto in un lampo dalla polizia croata», continua, denunciando presunte offese di agenti croati che avrebbero gettato nel fango la bandiera di Verdis.
La petizione
Anche se Zagabria «non vede Verdis come proprio territorio, ci hanno condotti in Croazia e ci hanno dato 7 giorni per lasciare il Paese e poi hanno vietato ai “coloni” di entrare nel Paese», addirittura marcando come «minaccia alla sicurezza nazionale il nostro vicepresidente, Hector Bowies e me». Da qui la petizione lanciata in questi giorni, continua Jackson. Il giovane ha aspirazioni alte. E si dice sicuro che Verdis esiste e ha il diritto di farlo: «L’obiettivo finale è che Verdis sia riconosciuta internazionalmente, come stato con governo e costituzione propri. Ci sono molte persone pronte a tornare presto» sul territorio contestato e sarebbero «tanti» quelli che «vogliono prendere la cittadinanza».
Il caso analogo
Verdis è un po’ una Liberland in miniatura, molto meno nota ma con obiettivi del tutto speculari e qualche pretesa forse non del tutto infondata, dato che persino il Chicago Journal of International Law aveva suggerito che la micro nazione di Liberland avrebbe qualche «aspetto legale e politico di uno Stato moderno, tra cui una Costituzione e un corpo di leggi». Non la pensa così Zagabria, che più volte ha sguinzagliato la polizia contro i “liberlandesi”. E ora avrebbe usato le maniere forti anche con Jackson e i suoi seguaci.
I precedenti
Liberland e Verdis non sono casi unici, nei Balcani. Nel 1987 il villaggio macedone di Vevcani si auto-dichiarò indipendente dalla Jugoslavia per protesta contro la deviazione di un torrente realizzata per fornire acqua alle ville dell’élite comunista locale. Belgrado ai tempi reagì duramente, coi residenti sulle barricate tutta l’estate e la polizia con bastoni e manganelli. Lo stesso nel 1991, quando nacque la Macedoni e Vevcani volle separarsi dalla neonata Repubblica. Dell’esperienza rimangono “passaporti” in vendita per i turisti di passaggio e una valuta propria, il licnik, che va a ruba come souvenir. E una strana bandiera “nazionale”, spesso ancora esposta in pubblico.
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