La missione di Mark Rutte a Sarajevo: «Nato vigile sulla pace in Bosnia»
L’Alleanza atlantica interviene sulle tensioni sollevate dalla condanna del leader del gruppo serbo Dodik

Una rassicurazione, che è allo stesso tempo conferma della gravità della situazione. È quella arrivata ieri per bocca del segretario generale della Nato, Mark Rutte, sbarcato a Sarajevo durante quella che appare essere la più grave crisi nella storia del dopoguerra in Bosnia-Erzegovina. Il viaggio è stato pensato per ribadire che l’Alleanza atlantica, e tutto l’Occidente, non staranno a guardare il Paese balcanico precipitare verso il punto di non ritorno, come nel 1992.
La crisi, ricordiamo, è stata esacerbata dalla condanna a un anno di prigione e a sei di interdizione dai pubblici uffici, emessa dal Tribunale della Bosnia-Erzegovina, a carico del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, giudicato colpevole di “disubbidienza” rispetto alle decisioni dell’Alto rappresentante Christian Schmidt.
Dodik ha risposto sferrando una pesante rappresaglia contro l’unità nazionale, col dichiarare “fuorilegge” nell’entità politica serbo-bosniaca la Corte che lo ha giudicato, la Procura statale centrale, il Consiglio superiore delle Procure giudiziarie e persino l’Agenzia statale per la sicurezza e la protezione (Sipa).
A stretto giro, la Corte costituzionale di Sarajevo ha sospeso le leggi incriminate, ma la tensione è tutt’altro che scemata. Lo ha confermato, tra le altre cose, la mossa di Dodik, rifiutatosi di comparire davanti alla Procura di Sarajevo, che ha lanciato nei suoi confronti un’inchiesta per «attacco all’ordine costituzionale». Se Dodik rigetterà anche la seconda convocazione, attesa a breve, rischia l’arresto.
Quadro pesantemente negativo e preoccupante che ha spinto Rutte a farsi sentire con forza. «Prima di tutto» ha ribadito che «il nostro impegno per la Bosnia è fermo», garantendo che la Nato «sostiene pienamente la sovranità e l’integrità territoriale» del Paese, le cui fondamenta sono sempre rappresentate «dagli accordi di pace di Dayton», su cui vigila «l’Alto rappresentante», nemesi di Dodik e non riconosciuto neppure da Mosca. La Nato, ha continuato Rutte, considera «inaccettabile ogni attività che mina Dayton, l’ordine costituzionale e le istituzioni statali» centrali. «Questo Paese guarda a voi tre», siate garanti della pace e della stabilità, ha poi detto girandosi verso i padroni di casa, i membri della presidenza tripartita Željka Cvijanović (serba), Željko Komšić (croato) e Denis Bećirović (bosgnacco).
Ma se non dovesse bastare, l’Occidente non starà alla finestra, l’avvertimento del numero uno della Nato. «Voglio essere chiaro, questo non è il 1992», ha ammonito Rutte: un esplicito e inquietante riferimento all’anno di esordio della sanguinosa guerra civile che ha portato a centomila morti, all’assedio di Sarajevo, alla pulizia etnica a Srebrenica. Non è il 1992 e non lo sarà, perché «non permetteremo che emerga un vuoto di sicurezza» nel cuore dei Balcani, la ruvida dichiarazione di Rutte, che ha ricordato che la comunità internazionale «è qui» ed è pronta a reagire anche attraverso la Eufor, la missione Ue di peacekeeping – che riceverà rinforzi – e la stessa Nato. «Non tollereremo che una pace difficilmente raggiunta sia messa a rischio», ha chiosato Rutte, che ha significativamente incontrato anche i ministri di Interni e Difesa.
La palla rimane però sui piedi dei leader locali, che dovranno in qualche modo lavorare insieme, ma Cvijanović ha ribadito ieri che il problema principale è lo «straniero» Schmidt, non certo Dodik. —
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