Le sanzioni degli Usa colpiscono Nis: 45 giorni per salvare il colosso serbo controllato da Gazprom

La società che gestisce il sistema energetico del Paese. La via del ritorno allo Stato.  Vučić: «Parleremo con Putin». Il nodo dell’afflusso di petrolio dalla Croazia

Stefano Giantin
La partita dell’energia: le nuove sanzioni Usa contro Gazprom colpiscono anche il colosso serbo Nis
La partita dell’energia: le nuove sanzioni Usa contro Gazprom colpiscono anche il colosso serbo Nis

Quarantacinque giorni per salvare un colosso nazionale fondamentale per garantire la stabilità del sistema energetico colpito al cuore da sanzioni Usa. E forse l’unica via per riuscirci è il ritorno al pieno controllo statale, convincendo in qualche modo la Russia di Putin a fare un passo indietro. È questo il più che complicato compito che tocca alle autorità al potere in Serbia, messe all’angolo da una attesa ma comunque esplosiva decisione degli Stati Uniti, che a pochi giorni dall’uscita di scena di Biden hanno annunciato nuove sanzioni contro i colossi russi dell’energia, in testa Gazprom, con pesanti ricadute anche nel Paese balcanico.

Le misure punitive

Le misure punitive Usa andranno infatti a colpire al cuore «Gazprom Neft e Surgutneftegas, oltre 180 navi» che trasportano greggio russo e, insieme, «decine di venditori di petrolio, fornitori di servizi per giacimenti petroliferi, compagnie assicurative», ha spiegato il Dipartimento del Tesoro Usa. Ma sulla lista dei sanzionati è indicata anche la Nis Ad Novi Sad, «sussidiaria di Gazprom Neft», ha specificato Washington. Pilastro del sistema energetico in Serbia – praticamente gestisce l’intero sistema, dai derivati del petrolio al gas - Nis è stata colpita proprio perché controllata da Mosca (le sanzioni non sono dirette verso la Serbia, ha precisato Richard Verma, vicesegretario di Stato Usa per gestione e risorse), in quello che i media internazionali hanno definito «il maggior pacchetto di sanzioni» deciso dall’amministrazione Biden dall’inizio della guerra in Ucraina, “copiato” anche da Londra. Quanto alla Serbia, il “vulnus” - allora imprevedibile - risale al 2008, ai tempi della dirigenza politica filo-europeista, quando Gazprom Neft acquisì – per 400 milioni più 550 di promessi investimenti - la maggioranza in Nis, con la quota in mano al gigante russo salita po fino al 56,1%. Nel 2022 altro passaggio importante, col trasferimento del 6% delle quote da Gazprom Neft a Gazprom, mentre il governo serbo resta partner di minoranza col 30% circa, con le quote restanti in mano a piccoli azionisti.

La posizione di Vučić

Cosa accadrà con l'arrivo delle sanzioni? Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha svelato che Belgrado dovrà lavorare – velocemente – a un «ritiro totale degli interessi russi» da Nis. Per evitare un possibile collasso del sistema energetico. Nis «potrà continuare a operare regolarmente», ma solo se la Serbia lancerà subito un «piano di trasformazione» dello schema di proprietà, che poi dovrà essere «approvato dall’Ofac», l’Office of Foreign Assets Control di Washington.

L’afflusso di petrolio alla Croazia

Quanto tempo rimane? «Abbiamo 45 giorni, dobbiamo concludere entro il 25 febbraio», ha detto Vučić. Il problema in particolare riguarda l’afflusso di petrolio via Croazia, tramite l’oleodotto Janaf che alimenta le raffinerie Nis in Serbia. «La piena applicazione delle sanzioni avverrà entro 45 giorni e fino a allora sarà possibile apportare modifiche e adottare misure che consentano il disinvestimento e sostengano la fornitura sicura di petrolio» alla Serbia, ha specificato Janaf. In seguito, se Nis vorrà continuare le operazioni senza enormi difficoltà e senza che «vengano imposte appieno le sanzioni», tutte «le persone collegate alla Russia» dentro Nis dovranno uscire dall’azienda, ha detto Vučić. Come? «Non vogliamo un takeover ostile alle proprietà altrui, perciò parleremo con Putin», ha detto il presidente serbo. Suggerendo che potrebbe chiedere alla nuova amministrazione Trump di riconsiderare le sanzioni, “salvando” Nis. 

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