Sei filiali bancarie serbe chiuse da agenti e ispettori in Kosovo

BELGRADO Dialogo nullo, riconciliazione lontana. E invece di mani tese, nuove azioni che spingono la regione verso una possibile escalation. Si può riassumere così il preoccupante quadro che riguarda il nord del Kosovo a maggioranza serba e i già tesi rapporti tra Belgrado e Pristina. Ultima goccia, le mosse fatte dalle autorità di Pristina, che hanno deciso di sguinzagliare polizia e ispettori fiscali nel nord, per controlli, perquisizioni e infine la chiusura di sei filiali della “Banka Postanska Stedionica”, una delle maggiori banche serbe ancora operanti in Kosovo, che erogava stipendi, pensioni e misure di welfare a favore dei serbi del nord, in dinari, valuta dichiarata di fatto illegale dal Kosovo, che usa l’euro dal 2002.
Pristina, ricordiamo, mira a imporre l’euro come unica valuta legale per gli scambi e i pagamenti in contanti nell’ex provincia serba e di fatto ha vietato dal primo febbraio l’uso del dinaro, moneta “prediletta” dai serbi, anche ma non solo per ragioni simboliche. Secondo alcune stime, dalla Serbia affluiscono infatti ogni anno circa 120 milioni di dinari per sostenere le istituzioni “parallele” serbe in Kosovo. Dopo un periodo transitorio, senza sanzioni, Pristina ha scelto in questi giorni di usare infine la mano pesante. Lo ha confermato l’operazione di polizia contro le banche nel nord. Si è trattato solo di un’azione per far rispettare «legge e ordine e continuiamo a servire i nostri cittadini senza distinzioni», ha replicato il ministro degli Interni kosovaro, Xhelal Svecla, mentre la polizia ha specificato di aver confiscato 1,6 milioni di euro e milioni di dinari “illegali”.
Da parte serba, la lettura è come sempre opposta. Davanti alle filiali chiuse con la forza – ma i risparmi sono al sicuro, ha garantito ieri la banca – il partito d’opposizione Srpska Demokratija ha gettato a terra davanti alle banche farina, uova e altri beni alimentari, tutti prodotti che i serbi senza soldi «non potranno più permettersi». Di «un atto barbaro» che mina «la sopravvivenza stessa» dei serbi ha parlato invece il neo-premier serbo Miloš Vučević, che ha apertamente accusato Pristina di voler privare la minoranza del proprio diritto di «ricevere salari e pensioni». Sulla stessa linea il ministro degli Interni serbo, Ivica Dačić, che ha sostenuto che il premier kosovaro Albin Kurti stia continuano sulla strada «del terrorismo contro i serbi», deplorando il silenzio della comunità internazionale. Se non ci saranno chiare prese di posizione, si rischiano «nuovi conflitti nei Balcani con conseguenze potenzialmente devastanti», ha aggiunto.
Ma le reazioni, un po’ a scoppio ritardato, sono arrivate. Si tratta di una «escalation che va contro lo spirito di normalizzazione» e «mina» il dialogo, la dura reazione di Bruxelles, arrivata ieri. Quella di Pristina è stata un’azione «non coordinata con i partner internazionali». E porta a una «escalation della tensione», ha fatto eco Washington, molto «preoccupata» dall’esacerbarsi della “guerra del dinaro”. —
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