Serbia e Kosovo di nuovo nel mirino dell’Ue
Sotto accusa dell’Eurocamera l’ipotesi di elezioni irregolari a Belgrado e la “guerra del dinaro” aperta da Pristina

BELGRADO. L’Europa, per varie, comprensibili ragioni, sembra essersi stancata delle eterne beghe tra Serbia e Kosovo. Ma anche del presunto carattere sempre più autocratico delle autorità al potere a Belgrado e delle cicliche mosse provocatorie di quelle in sella a Pristina. E le conseguenze potrebbero essere pesanti per il futuro europeo di entrambi i contendenti balcanici, come per il loro portafoglio. È il quadro che si sta concretizzando in questi giorni: un combinato disposto di risoluzioni e dichiarazioni che dovrebbero preoccupare molto sia il Kosovo sia la Serbia.
Belgrado, in particolare, è entrata nel mirino dell’Europarlamento. L’Eurocamera, dopo molte discussioni, ha così concordato e votato ieri a grandissima maggioranza (461 favorevoli, solo 53 contrari e 43 astenuti) una durissima, attesa risoluzione, messa a punto dai gruppi parlamentari più importanti a Strasburgo, che getta ombre lunghissime sulle controverse elezioni anticipate del 17 dicembre. Quelle consultazioni - è l’opinione degli europarlamentari -, sarebbero state macchiate da svariate irregolarità e sarebbero state dunque ben lontane dall’essere «corrette e senza condizioni inique» per i partiti in corsa.
Ma l’Eurocamera è anche «allarmata per le denunce di brogli vasti e sistematici che hanno compromesso l’integrità» dell’esito delle urne. Non è finita. Ci sarebbero stati anche «attacchi orchestrati» da parte di funzionari serbi contro «osservatori elettorali», senza dimenticare gli elettori “fantasma” arrivati a Belgrado dalla Republika Srpska.
Da qui la richiesta, contenuta in una risoluzione che per sua natura non è vincolante, ma ha un peso politico enorme, a favore della formazione di una «indagine internazionale». Indagine, l’appello dell’Europarlamento, che deve partire da una inchiesta onnicomprensiva sui sospetti che ancora oggi aleggiano sull’esito del voto «parlamentare, su quello provinciale» in Vojvodina «e sulle elezioni locali, con particolare attenzione su Belgrado», le più contestate dai critici di Vučić. Vučić e sodali che dovrebbero aspettarsi dure conseguenze, se non accoglieranno i “consigli” contenuti nella risoluzione dell’Eurocamera, che potrebbero essere recepiti dai vertici esecutivi della Ue.
«I negoziati di adesione dovrebbero procedere solo se il Paese farà passi avanti nelle riforme collegate» al processo di integrazione, stabilisce la risoluzione. Che si spinge oltre, chiedendo pure la «sospensione dei fondi europei» destinati a Belgrado se il governo non coopererà alle indagini sul voto di dicembre. O se uscissero prove concrete a indicare che «le autorità serbe erano coinvolte direttamente» in eventuali brogli.
Ma Belgrado per ora fa orecchie da mercante. «Le risoluzioni vanno e vengono, non è la prima, non sarà l’ultima», ha detto la premier Brnabic.
Bastone, quello brandito dall’Europa nei confronti della Serbia, che fa il paio con quello evocato nei confronti del Kosovo, che sta gettando legna sul fuoco nella “guerra del dinaro” – in discussione ieri notte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Lo hanno confermato questa settimana il divieto d’ingresso in Kosovo imposto dai doganieri di Pristina a un veicolo che trasportava dinari per il pagamento di stipendi, pensioni e sussidi nel nord a maggioranza serba – oltre che l’irruzione della polizia kosovara in ufficio postale in un’enclave serba. E, con queste azioni che possono provocare un nuovo terremoto, il Kosovo – già colpito da sanzioni Ue e unico Paese balcanico senza neppur lo status di candidato all’adesione - rischia di «rimanere fuori» dal processo d’integrazione Ue, ha avvisato il portavoce della Commissione, Peter Stano.
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