Serbia, oltre centomila armi illegali consegnate in meno di due mesi

La campagna decisa dal governo dopo le stragi di maggio: spuntati quattro milioni di munizioni e cartucce
Stefano Giantin
Vučić in visita un deposito delle armi
Vučić in visita un deposito delle armi

BELGRADO Rabbia, dolore, instabilità politica, proteste di piazza. Ma le due stragi di inizio maggio in Serbia, con tutte le dovute proporzioni, hanno provocato anche reazioni positive: in poco più di un mese e mezzo infatti più di centomila armi da fuoco detenute illegalmente dai cittadini del Paese balcanico sono state consegnate alle forze dell’ordine.

È questo il risultato di “Predaj oruzje” (“Consegna le armi”), la campagna decisa dal governo serbo, con appello lanciato anche dal presidente Aleksandar Vučić - dopo il massacro della scuola Ribnikar di Belgrado e nei villaggi attorno a Mladenovac - per ridurre in maniera significativa il numero di pistole e fucili non registrati in circolazione. A fare il bilancio della campagna, conclusasi a fine giugno, è stata Bojana Otović Pjanović, funzionaria della Criminalpol serba: dall’8 maggio al 30 giugno i serbi detentori illegali di armi hanno consegnato, senza temere conseguenze legali, quasi 110mila pistole e fucili, oltre quattro milioni di munizioni e cartucce e 25mila mine e ordigni esplosivi, tutti finora custoditi senza permessi in case e appartamenti.

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«Già dai primi giorni della campagna era chiaro che si sarebbero superati i numeri delle precedenti legalizzazioni; la maggior parte delle armi è stata consegnata da residenti delle grandi città, ma parliamo di numeri soddisfacenti su tutto il territorio nazionale», ha precisato Otović Pjanović. Potranno così stare tranquilli coloro che hanno approfittato dell’amnistia, senza rischiare alcuna conseguenza penale, mentre da ora i detentori illegali di armi rischiano grossissimo, con multe pesantissime e il rischio galera che pende sulla loro testa. Si tratta in effetti di «un primo passo importante, che dovrebbe portare a risposte di lungo periodo al problema, inclusa l’educazione della popolazione» sul rischio di avere armi in casa, ha lodato il successo della campagna anche il Comitato di giuristi per i diritti umani (Yucom), da decenni in prima fila per il “disarmo” dei civili e per l’introduzione di maggiori controlli sulle forze dell’ordine.

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Altre Ong hanno da parte loro specificato che nelle case serbe si trovano – o forse si trovavano – ancora armi delle guerre balcaniche di inizio Novecento, una santabarbara poi “arricchita” dai residuati bellici della Grande Guerra, del Secondo conflitto mondiale e poi dalle ultime guerre degli Anni Novanta. Per alcuni separarsi dalle proprie pistole è stato «molto duro dal punto di vista emotivo», ha confermato Otović Pjanović, svelando che tra le armi da fuoco consegnate le più vecchie risalivano al 1907.

Della campagna «di maggior successo» nel Paese balcanico – e oltre – ha parlato anche il ministero degli Interni serbo. E non sembrano, in questo caso, parole sopra le righe o esagerazioni. Per fare un confronto con campagne simili, ad esempio, si può prendere come punto di riferimento l’Australia, dove nell’intero 2019 furono consegnate alla polizia “solo” 19mila armi da fuoco irregolarmente detenute, cinque volte in meno di quanto fatto in Serbia in un mese e mezzo. Nel 2003, sempre in Serbia, durante una simile campagna di disarmo civile furono invece circa 50mila le pistole e i fucili consegnati alla polizia.

Armi in meno che faranno scendere la Serbia nella triste classifica dei Paesi con più pistole e fucili in mano a civili. La classifica è quella dello Small Arms Survey e vede, dopo Usa (120 armi ogni 100 abitanti) e Yemen (52 ogni 100), proprio Serbia e Montenegro (entrambe 39 ogni 100) contendersi il terzo posto a livello globale sul podio dei Paesi con più pistole in mano a civili. Ma il ranking andrà ora aggiornato.

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