Stragi in Serbia, il presidente Vučić lancia la stretta sulle armi e poi evoca la pena di morte

Sceglie il pugno di ferro, la Serbia, come risposta alle due stragi registrate nel Paese questa settimana
Stefano Giantin
Il presidente della Serbia Aleksandar Vučić
Il presidente della Serbia Aleksandar Vučić

Molta polizia nelle scuole. Disarmo dei civili. Pene draconiane per chi non rispetta regole che si preannunciano più stringenti. E addirittura un’evocazione della pena di morte, che farà discutere. Sceglie il pugno di ferro, la Serbia, come risposta alle due stragi registrate nel Paese questa settimana.

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L’annuncio è stato dato, come di consueto, dal presidente Aleksandar Vučić, che ha convocato ieri mattina una conferenza stampa straordinaria, alle sue spalle l’intero governo schierato, i ministri vestiti di nero in segno di lutto. L’elenco delle cose da fare dopo il nuovo massacro nel territorio della città di Mladenovać è molto lungo.

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Il killer Uroš Blažić, 21 anni, che ha compiuto la seconda strage avvenuta in Serbia in 48 ore

«La prima misura – e inizieremo subito – è che oltre ai custodi nelle scuole ci sia sempre un poliziotto, a Belgrado ci sono 331 scuole, potranno contare su 331 agenti e anche di più», ha esordito il leader serbo, che ha anticipato la prossima assunzione di 1.200 poliziotti, con l’obiettivo di «ridurre la violenza» scolastica dell’80% e di aumentare la sicurezza di scolari e studenti fino al «99%». Niente metal detector negli istituti, invece, perché non servirebbero. Alla Rudjer Bošković, prestigioso istituto privato dove giovedì un ex alunna ha ferito a coltellate due persone, ce n’era uno all’entrata e non ha impedito il crimine, ha svelato Vučić.

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Ma sicurezza totale non può esserci, con troppe armi in circolazione, regolarmente denunciate e custodite nelle case – come quelle usate da Kosta K. alla scuola Ribnikar – o illegalmente detenute, come quelle del giovane killer di Mladenovać. «Abbiamo ridotto il numero delle armi da fuoco» detenute da privati cittadini «da 950mila a 760mila, ma non è abbastanza» e ci sarebbe una potente «lobby che si batte» contro il disarmo, ha continuato Vučić.

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Ma la via da prendere sarebbe proprio quella di una massiccia riduzione delle armi in circolazione, con Vučić che ha ordinato al governo di «preparare emendamenti alla legge sulle armi e sulle munizioni, con regole più stringenti».

Armin Durgut
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Oggi i detentori legali sarebbero «circa 400 mila» e, dopo l’approvazione delle nuove misure annunciate ieri, saranno sottoposti «a controlli», che teoricamente dovranno far scendere a 30-40mila le armi in circolazione. Parliamo di un «disarmo totale della Serbia», ha promesso il leader serbo, anticipando anche l’introduzione di «controlli semestrali e annuali» per gli appassionati delle armi, esami «medici e psicologici» e test antidroga a sorpresa. Neppure i cacciatori saranno risparmiati e saranno ora sottoposti a esami e controlli più serrati.

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Ma in Serbia, triste eredità delle guerre degli Anni Novanta, circolano anche migliaia di armi automatiche illegali. Su questo fronte l’intervento sarà durissimo, la promessa delle autorità al potere a Belgrado, con Vučić che ha anticipato che i ministeri competenti si metteranno subito al lavoro per innalzare le pene per chi vende o possiede armi non denunciate, custodisce esplosivi o armi da guerra, parlando di galera fino a 15 anni.

Ma si poteva anche andare oltre, ha poi suggerito il presidente serbo Vučić. «Avevo suggerito alla premier – ha detto sempre il presidente nel corso della conferenza stampa – di reintrodurre la pena di morte», ma il primo ministro e i componenti del governo avrebbero detto no ieri mattina «perché saremmo gli unici ad averla in Europa, oltre alla Bielorussia». In passato «ero contro la pena di morte, ma ora mi pento di avere avuto una posizione politica» del genere, ha chiosato Vučić. s.t.

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