Tredicenne va a scuola e spara: morti otto studenti e il custode. Ecco cosa sappiamo della strage di Belgrado

BELGRADO «Ditemi come un ragazzino armato può entrare in una scuola, ditemelo, qualcuno deve saperlo», urla disperata e rabbiosa una mamma all’indirizzo degli agenti, davanti alla scuola ormai quasi deserta, circondata ancora dalla polizia per permettere i rilievi della Scientifica. Poco distante, su una panchina, un ragazzino – avrà dodici, tredici anni – prima grida, poi trema, rimane in silenzio, abbraccia finalmente sua madre e si mette a piangere a dirotto. Poco distante un adulto, forse un padre, lancia improperi contro l’architetto di una strage per cui forse non ci potrà essere piena giustizia.
Columbine serba
Sono le scene strazianti osservate davanti all’istituto Vladislav Ribnikar, nel pieno centro di Belgrado, una delle scuole elementari e medie più rinomate della capitale. Ribnikar non sarà più ricordata per l’aura un po’ elitaria e per essere una delle istituzioni formative che la classe “alta” di Belgrado predilige per i propri figli. Sarà invece per sempre sinonimo di una strage, con nove morti, non diversa da quelle che troppo spesso si registrano negli Stati Uniti, una vera Columbine serba.
Non penalmente responsabile
È quella pensata e attuata da un ragazzino di 14 anni non ancora compiuti – e dunque non penalmente responsabile, ha anticipato la Procura - studente della settima classe, l’equivalente della seconda media in Italia. Di lui si dice sia uno studente modello, media alta, passione per la storia e la matematica, di ottima famiglia - un medico e un avvocato i genitori. Ma mercoledì, quando entra poco dopo le 8.30 alla Ribnikar, ha tutt’altro in mente. Estrae dallo zaino non i libri, ma la pistola calibro 9 sottratta al padre, arrestato con la madre ieri pomeriggio – e sarà forse l’uomo l’unico a pagare per mancata custodia dell’arma, mentre il figlio sarà per ora ristretto in una clinica psichiatrica.

Il ragazzino fa fuoco sul custode della scuola e su due ragazzine nell’atrio, poi entra in un’aula dove c’è lezione di storia e spara a una professoressa, ferita gravemente; e infine sui compagni. Dopo il massacro, alle 8.42, è lui stesso a telefonare alla polizia, presentandosi con nome e cognome e autodenunciandosi.
L’intervento della polizia
La polizia subito interviene, già allertata anche dal rumore dei colpi e dalle urla che avevano allarmato i residenti dei palazzi vicini, nel cuore di Belgrado. Il ragazzino, che si era rintanato sul tetto della scuola, viene arrestato. Agli inquirenti il difficile compito di fare la conta delle vittime, che per ore non viene ufficializzata. Ma alla fine la notizia esce, sconvolgendo la Serbia. Le vittime sono appunto nove: otto studenti, nati tra il 2009 e il 2011 – sette ragazze e un ragazzo - e un anziano custode, Dragan, figura storica alla Ribnikar, amato da tutti.
Le domande
In Serbia, oltre al dolore, è stata la giornata delle domande, ancora troppe senza risposta. Perché un ragazzino normale, di buona famiglia – ma il papà lo portava al poligono - ha organizzato un’azione del genere? Su questo dovranno fare luce gli inquirenti e gli psicologi, mentre sono continuate a circolare voci non confermate sul fatto che il ragazzino-killer fosse stato bullizzato o vittima di violenze a scuola.
La pianificazione
Nel frattempo, le prime testimonianze del ragazzino alle forze dell’ordine hanno comunque raggelato il sangue. Secondo quanto ha svelato il capo della polizia belgradese, Veselin Milić, lo studente avrebbe infatti confessato di aver pianificato per un mese la strage, facendo persino una lista dei compagni, anzi degli «obiettivi primari» da eliminare.

Per il massacro, oltre alla pistola, si era dotato anche di quattro bottiglie molotov e di una seconda arma, non utilizzate.
Terribile anche la deposizione di una ragazzina, testimone oculare della strage. «È entrato in classe con la pistola in mano e nell’altra teneva un caricatore, mi sono sdraiata a terra per far credere di essere morta anche io», ha detto. Altri ragazzi hanno raccontato di essere stati salvati dai professori e dai maestri.
Mentre cala la sera, intanto, negli ospedali belgradesi ci si prende cura dei feriti, tra cui tanti bambini, alcuni in gravi condizioni. E sulle chat dei genitori circolano appelli per le donazioni di sangue per i ricoverati.
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