Trump posticipa le sanzioni: un altro mese alla società serba Nis

La compagnia petrolifera controllata dalla russa Gazprom ottiene il secondo rinvio delle ritorsioni previste dall’amministrazione Biden per i suoi legami con Mosca

Stefano Giantin
La raffineria petrolifera della compagnia Nis a Pančevo poco fuori da Belgrado
La raffineria petrolifera della compagnia Nis a Pančevo poco fuori da Belgrado

Un altro salvagente gettato in extremis, il secondo, dall’avvento della nuova amministrazione Usa guidata da Donald Trump. E la Serbia può riprendere fiato, almeno per un po’. Belgrado ha incassato un nuovo rinvio delle temutissime sanzioni americane decise contro il colosso nazionale Naftna Industrija Srbije (Nis), entrato nel mirino di Washington a gennaio nell’ambito di ampie misure punitive contro Mosca e il settore energetico russo.

Nis era stata inserita tra le aziende da colpire in quello che gli Usa avevano definito come «il maggior pacchetto di sanzioni» deciso dall’amministrazione Biden dall’inizio della guerra in Ucraina contro il sistema energetico collegato a Mosca. E Nis è parte di quel sistema: dal 2008, infatti, il gigante serbo degli idrocarburi è saldamente in mano alla Russia con Gazprom Neft, che aveva assunto il controllo sul 50% di Nis, mentre il 6,15% era in pugno a Gazprom, con il governo serbo in minoranza al 30%.

Essere controllati da Mosca era ormai inaccettabile per Biden. A febbraio, la struttura proprietaria è tuttavia cambiata, proprio per tentare di aggirare le sanzioni, con un’operazione di maquillage che aveva portato Gazprom Neft a trasferire il 5,15% delle sue quote in Nis alla “casa madre” Gazprom.

Il risultato: Gazprom Neft era scesa al 44,85% dal precedente 50% in Nis, mentre Gazprom era salita all’11,5% dal precedente 6,15%, mentre la quota del governo serbo è rimasta al 30%. E Washington pare avesse apprezzato, decidendo a fine febbraio il primo rinvio di un mese all’entrata in vigore delle sanzioni, che sulla carta potrebbero mettere in ginocchio Nis, rendendola un “paria” internazionale, col risultato di lasciare a secco distributori di benzina in tutta la Serbia.

In questi giorni, raffreddando i crescenti timori di Belgrado, Trump e i suoi hanno deciso ancora una volta di soprassedere e posticipare le misure punitive. «Abbiamo ricevuto altri trenta giorni», per risolvere la questione Nis, ha anticipato il presidente serbo Aleksandar Vučić, ringraziando «i partner americani per la comprensione».

La conferma della temporanea “grazia” è poi arrivata per bocca della ministra serba dell’Energia, Dubravka Djedović Handanović, che ha specificato che le autorità serbe hanno ricevuto una comunicazione ufficiale da Washington in questo senso. «Dobbiamo usare al meglio» il rinvio, ha aggiunto la ministra, suggerendo che Belgrado lavorerà in particolare per acquistare «le quantità maggiori possibili» di greggio per Nis, in modo da evitare il peggio, se le sanzioni dovessero prima o poi entrare in vigore, magari interrompendo l’afflusso di greggio via Croazia, attraverso l’oleodotto Janaf, che soddisfa l’80% del fabbisogno di Nis.

Di certo, «abbiamo provato a spiegare a tutti quanto è importante Nis per i nostri cittadini, per l’economia e per il funzionamento regolare» del sistema nazionale di approvvigionamento di idrocarburi, ha aggiunto Djedović Handanović. E Washington sembra aver compreso il messaggio, posticipando appunto il redde rationem al 28 aprile. Con Trump e la nuova amministrazione «conduciamo un dialogo», ma il processo di cancellazione delle sanzioni «dura a lungo e alla fine a decidere è comunque il Congresso», ha specificato la ministra. Ma dopo due aperture e davanti alla distensione dei rapporti con Putin, non è escluso che Trump si spinga fino al gran passo: il “salvataggio” di Nis.—

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