Usa, missili anticarro venduti al Kosovo. La delusione di Belgrado

Il Dipartimento di Stato dà l’ok all’iter per quasi 250 Javelin. Affare da 75 milioni di dollari. Ora manca il sì del Congresso
Stefano Giantin
Gli Javelin sono dei missili anti-carro: ok dal Dipartimento di Stato Usa alla vendita a Pristina
Gli Javelin sono dei missili anti-carro: ok dal Dipartimento di Stato Usa alla vendita a Pristina

BELGRADO Da simbolo potente della guerra in Ucraina, considerati agli albori dell’invasione miracolosi contro i carri armati russi, a cartina al tornasole delle tensioni sull’asse tra Serbia e Kosovo. Sono gli Javelin, armi anti-carro portatili “made in Usa”, due anni fa ricercatissime da Kiev per contrastare l’aggressione di Mosca. Adesso sbarcheranno pure nei Balcani, per la soddisfazione di Pristina e lo scorno di Belgrado, segnalando al contempo quanto potenzialmente pericolosa sia la situazione nella regione.

Gli Javelin in un futuro prossimo dovrebbero essere consegnati nelle mani delle Forze di sicurezza kosovare, non ancora esercito regolare ma da mesi impegnate a dotare i propri uomini di armi sempre più potenti e sofisticate. È quanto ha stabilito il Dipartimento di Stato americano, che ha dato luce verde alla «potenziale vendita» al Kosovo di quasi 250 Javelin prodotti negli Usa – praticamente uno per ogni carro armato teoricamente in dotazione alla Serbia - oltre a munizioni, sistemi di controllo, un pacchetto da 75 milioni di dollari. La possibile vendita dovrà essere confermata dal Congresso Usa ma tutto fa pensare che i giochi siano fatti, tenuto conto anche dei toni usati dal Dipartimento, che ha parlato di un affare che è anche nell’interesse degli Stati Uniti e degli «obiettivi di politica estera» di Washington. La vendita contribuisce infatti a «migliorare la sicurezza di un partner europeo che è una forza importante per la stabilità politica ed economica in Europa». Non solo Javelin: arriveranno anche «altre armi», ha da parte sua anticipato il ministro della Difesa Ejup Maqedonci, mentre la presidente Vjosa Osmani ha spiegato che «stiamo entrando in una fase decisiva per la capacità di difesa».

Ma a cosa potrebbero servire, gli Javelin? L’acquisto va letto alla luce delle gravissime tensioni registrate nei mesi scorsi nel nord del Kosovo, in particolare quale reazione al colpo di mano di paramilitari serbi a Banjska - azione eversiva con alta probabilità dettata dal tentativo di riprendere il controllo dell’area abitata in stragrande maggioranza da serbi – e conseguente escalation anche militare, con l’esercito serbo che aveva innalzato il livello di allerta, inviando truppe e mezzi a ridosso del confine. Ma c’è di più. C'è pure l’ambizione di Pristina – vista come il fumo negli occhi da Belgrado – di creare un esercito regolare. E tutto suggerisce che si vada in questa direzione. Lo confermano, ad esempio, l’aumento delle spese militari da parte del Kosovo decise a dicembre, con il budget per la difesa salito a oltre 200 milioni di euro, ma anche l’acquisto da parte di Pristina, nel luglio scorso, di un drone Bayraktar, di produzione turca, prima degli Javelin il gioiello del sistema difensivo kosovaro. E proprio in occasione dello sbarco del Bayraktar, il premier kosovaro Albin Kurti si era autocompiaciuto per aver «aumentato dell’80% il numero dei soldati e del 100% le spese per la difesa».

Ma mentre Pristina incassa il rinnovato sostegno Usa sul fronte militare, Belgrado – che da anni porta avanti una politica di accelerato riarmo - trattiene a stento la rabbia. La decisione di Washington rappresenta una «grande delusione», ha commentato il presidente serbo Aleksandar Vučić, che ha tuttavia assicurato che la Serbia cercherà in tutti i modi di conservare i buoni rapporti con Washington. Negli Usa tuttavia la linea politica non è univoca. Vendere gli Javelin al Kosovo è «gettare benzina sul fuoco» in un momento di «forte tensione» nella regione, ha ammonito la congressista Usa Claudia Tenney.

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