L’architetto iraniano: «Uno Stato mafioso, sequestrano persone per ottenere qualcosa»

Mohammad Talieh Noori, socio fondatore dell’associazione democratica degli iraniani, sull’arresto della giornalista Cecilia Sala: «Non si muovono per niente, forse cercano uno scambio»

Enrico Ferro
L'architetto iraniano Mohammad Talieh Noori
L'architetto iraniano Mohammad Talieh Noori

«A me dispiace che ci si muova solo quando nei guai ci finisce qualche italiano, perché purtroppo in Iran la situazione non è mai cambiata. Continuano ad arrestare e a picchiare donne e uomini».

Mohammad Talieh Noori, 68 anni, architetto di origini iraniane, residenza a Vittorio Veneto (Treviso), conosce bene la situazione nel suo paese natale. In Italia è socio fondatore dell’Associazione democratica degli iraniani. «Il contesto andrebbe affrontato per quello che è, non solo quando tocca qualche connazionale».

Architetto, la sua ha tutta l’aria di essere un’accusa. Ma rivolta a chi?

«Alle autorità internazionali, alla stampa. Quando nel 2022 Mahsa Amini venne assassinata dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente l’hijab, seguirono 6 mesi di mobilitazione e poi basta. Tutti hanno continuato a occuparsi di Ucraina e Gaza. E l’Iran? Nel dimenticatoio».

Quando ci è stato l’ultima volta?

«Nel 1976, poi sono dovuto scappare perché avevo problemi con il regime. Io e altri compagni dell’associazione siamo rimasti in Italia ma abbiamo comunque familiari e amici lì. Le mie sorelle abitano ancora in Iran».

Che impatto può avere in quel contesto una giornalista come Cecilia Sala che va lì a parlare di patriarcato?

«È una provocazione molto forte, è un bomba parlare di patriarcato in Iran. Ma attenzione, non è stata Cecilia Sala ad aprire questo fronte. Il dibattito tra le donne iraniane c’è. Tante e tanti parlano di questo problema, alcuni sono finiti in galera per questo. Lì il femminicidio è autorizzato dallo Stato. C’è ancora il delitto d’onore. La situazione è grave per le donne».

Molte donne si battono per non mettere più il velo.

«Il problema non è il velo, le donne iraniane protestano per avere i loro diritti. Per la legge islamica e iraniana le donne non esistono. Il nijab è un fondamento religioso, non la cancelleranno mai. E la testimonianza di una donna vale meno di quella di un uomo».

Secondo lei che tipo di evoluzione potrà avere questa detenzione?

«Bisogna capire il motivo per cui è stata arrestata. Intanto, partiamo da un punto: la prigione in cui è reclusa è quella tradizionalmente usata per i dissidenti, per i prigionieri politici. Alcuni vengono anche condannati all’impiccagione. L’hanno messa in isolamento per non farla entrare a contatto con le altre prigioniere».

Qual è il suo giudizio in merito a questo arresto?

«La Repubblica islamica non è uno Stato, è una struttura mafiosa. Loro sequestrano le persone per avere qualcosa in cambio. L’hanno fatto con inglesi, svedesi, tedeschi. Non c’è niente di strano per loro. Bisogna vedere cosa vogliono ottenere in cambio».

In che senso?

«Cosa gli viene in tasca a incarcerare una giornalista italiana? Penso che l’Iran non si muova mai per niente. Vogliono certamente ottenere qualcosa, magari dalla comunità europea, o magari dall’Italia. Forse cercano uno scambio».

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