Autonomia, scontro tra Regioni alla Consulta, dove irrompe Chat GPT
L’intelligenza artificiale evocata da Bertolissi, il costituzionalista vicino a Zaia: «E’ a favore». la Corte impiegherà settimane a spaccare il capello in quattro per decidere se questa legge penalizza le regioni più povere e favorisce le ricche.
A un certo punto, nel sonnacchioso clima post-prandiale di una sala tutta broccati e madonne col bambino, insieme a un raggio di sole che filtra dalle immense finestre del Palazzo della Consulta su piazza del Quirinale, fa irruzione nientedimeno che “Chat Gpt”: sembra un fantasma, ma è realtà.
E quando l’intelligenza artificiale viene evocata dal costituzionalista vicino a Luca Zaia, il padovano Mario Bertolissi, per difendere le ragioni del Veneto pro-Autonomia dagli attacchi delle regioni contrarie alla legge, un giureconsulto si volta verso l’accademico dei Lincei, Massimo Luciani: “Abbiamo assistito ad un fatto epocale, Chat Gpt è entrata anche qui dentro, è la prima volta!”. “Eh sì”. Come a dire, mancava solo questa. Sì perché “Chat Gpt destituisce di ogni fondamento tutto ciò che finora è stato detto”, gongola Bertolissi, esultante per questo “strepitoso risultato”.
In un contesto dove domina un’aura ottocentesca, se non settecentesca, dove manca giusto un sottofondo di clavicembalo e dove ogni concetto viene preceduto da un “le vostre illustrissime eccellenze”, fino a locuzioni ancor più cerimoniose come “da tutti i presenti in sala ho solo da imparare”, rivolgersi alla famigerata Chat Gpt suona come una provocazione. E suscita un fremito tra gli astanti.
Spaccare il capello in 4
Il bello è che, interrogata per sapere come andrebbe scritta una legge sull’autonomia regionale, la fredda materia grigia dei chip scodella una ricetta già nota: la legge Calderoli, ovvero 23 materie da devolvere, eccetera eccetera. “Strepitoso”, niente da dire. Fa nulla che la Corte impiegherà settimane a spaccare il capello in quattro per decidere se questa legge penalizza le regioni più povere e favorisce le ricche. Chat Gpt in un secondo ha emanato la sua sentenza. A favore.
Sembra quasi superflua la passione con cui si scontrano in un’udienza fiume e in punta di diritto le regioni a favore - Veneto, Piemonte, Lombardia - con quelle “opponenti” - Toscana, difesa dal costituzionalista Andrea Pertici, Sardegna, Campania e Puglia, difesa da Luciani. Il quale va all’attacco su tutti i fronti, specie quello più caldo dei Lep, i livelli essenziali di prestazione. Dalle 10 alle 18 si fronteggiano una ventina di giuristi, compresi gli avvocati dello Stato che sostengono la norma.
Il confronto sui Lep
"E' una legge che compromette la solidarietà tra regioni – fa notare Luciani aprendo il contenzioso - e compromette il debito pubblico. I Lep investono tutti i diritti e dire che sia il governo a scegliere per quali diritti definire i Lep fa correre brividi lungo la schiena. I Lep non sono il minimo che si può fare, ma la soglia di spesa minima per garantire servizi e diritti. E l'essenza dei diritti non può essere messa in discussione in funzione delle risorse disponibili”. Incostituzionale, questa la diagnosi, anche per Pertici, perché la legge Calderoli crea un sistema "finanziariamente insostenibile" e il risultato "non è un efficiente quadro di autonomia particolare volto a meglio rispondere alle esigenze del territorio, ma un'autonomia inefficiente nel garantire l'accesso ai servizi essenziali".
No, replica Bertolissi, “questa legge non toglie garanzie ma cerca di sburocratizzare. La scommessa è far funzionare meglio le cose". Per chi ad esempio vive di accordi transfrontalieri, come il Veneto, il Friuli e il Piemonte, questa legge sarà un vantaggio e nessuno vuole scippare le competenze al ministero degli Esteri. Questo il concetto.
L’arbitro Barbera
Il presidente della Consulta Augusto Barbera arbitra la partita con postura imparziale, rigido nel far rispettare i tempi, ironico nei contrappunti. La stampa accorre come poche volte, la sentenza è attesa per metà dicembre e sarà un giro di boa. Perché se la Corte accoglierà in parte le censure sollevate al testo Calderoli, questo potrà essere rivisto, ma comunque la Cassazione a metà dicembre potrà pronunciarsi sulla validità delle firme del referendum abrogativo. E il 20 gennaio la Consulta dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del quesito referendario. Se invece la Corte accogliesse in toto le ragioni delle regioni che si oppongono alla legge, non si celebrerà più il referendum. Per questo c’è chi sospetta che sotto sotto gli alleati di Matteo Salvini, ovvero Giorgia Meloni e Antonio Tajani, facciano un tifo silenzioso e inconfessabile per questo epilogo.
Del resto, l’autonomia regionale è impopolare al sud, serbatoio di voti per la premier e il ministro degli Esteri. E un referendum sarebbe potenzialmente foriero di guai. Se vi fosse il quorum, i pronostici danno una vittoria del no alla legge, per mano del popolo del sud e non solo. E questo rafforzerebbe il fronte delle opposizioni, Pd e 5stelle, che hanno raccolto le firme e indebolirebbe il governo facendo esplodere il Carroccio. Un azzardo, magari da evitare.
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