Autonomia differenziata, cosa ha detto la Corte costituzionale

Le motivazioni del pronunciamento sulla legge Calderoli: chieste 14 modifiche al testo approvato. L’indivisibilità del Paese e le materie intoccabili

Enrico Ferro
Pontida, tradizionale ritrovo della Lega. Nella foto Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali
Pontida, tradizionale ritrovo della Lega. Nella foto Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali

Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali” che siano titolari di una porzione di sovranità. E ancora.

La Costituzione definisce la Repubblica come una e indivisibile, riconosce il pluralismo politico, sociale, culturale, religioso, scolastico, della sfera economica. Tuttavia, tale accentuato pluralismo, che si riflette anche sul piano istituzionale, non porta alla evaporazione della nozione unitaria di popolo. Ecco due pilastri della filosofia che ha ispirato la sentenza della Corte costituzionale, nel suo processo alla riforma dell’autonomia differenziata.

I princìpi

Popolo, nazione, unità. Le parole chiave emergono chiaramente nelle 109 pagine con cui il presidente Augusto Antonio Barbera ha declinato l’indirizzo della Consulta. Una mazzata che “svuota completamente” la legge per il centrosinistra, una conferma della legittimità della riforma per Zaia e i suoi. Hanno vinto tutti e non ha perso nessuno, a parole. In realtà la Consulta sollecita 14 modifiche al testo approvato dalle Camere. E rimette il Parlamento al centro di tutto il ragionamento. «Spetta solo al Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale».

La Corte riconosce anche l’eventuale competizione tra regioni. «Tuttavia, l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori, che può anche giovare a innalzare la qualità delle prestazioni pubbliche, non potrà spingersi fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica, l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti, l’effettiva garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». E quindi anche la coesione sociale e l’unità nazionale, sottolineano i giudici, che sono tratti caratterizzanti la forma di Stato. «Il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia».

Introduce poi il concetto di regionalismo cooperativo. «Il regionalismo italiano non è un “regionalismo duale” in cui tra una regione e l’altra esistono delle paratie stagne a dividerle. Piuttosto, è un regionalismo cooperativo, che dà ampio risalto al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni e che deve concorrere all’attuazione dei principi costituzionali e dei diritti che su di essi si radicano».

E la logica costituzionale che contempla la differenziazione nell’articolo 116, terzo comma, non deve mai essere un fattore di disgregazione dell’unità nazionale e della coesione sociale, «ma uno strumento al servizio del bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali». E poi c’è il principio di sussidiarietà, che viene ribadito in più parti come principio fondamentale dello spazio costituzionale europeo.

Non materie ma specifiche funzioni

E qui si innesca il ragionamento sull’attribuzione delle materie, che la Corte smonta completamente. «Tale principio (di sussidiarietà) esclude un modello astratto di attribuzione delle funzioni, ma richiede invece che sia scelto, per ogni specifica funzione, il livello territoriale più adeguato, in relazione alla natura della funzione, al contesto locale e anche a quello più generale in cui avviene la sua allocazione».

Dunque bisogna necessariamente riferirsi a specifiche e ben determinate funzioni e non può riguardare intere materie. «In definitiva, secondo la prospettiva costituzionale, la scelta sulla ripartizione delle funzioni legislative e amministrative tra lo Stato e le regioni o la singola regione, non può essere ricondotta ad una logica di potere con cui risolvere i conflitti tra diversi soggetti politici, né dipendere da valutazioni meramente politiche».

La Corte costituzionale ritiene vi siano funzioni pubbliche che, per i loro caratteri, possono essere svolte efficacemente ed efficientemente solamente al livello territoriale di governo più alto (statale o addirittura europeo). «Questo è il caso, ad esempio, in cui la centralizzazione determina evidenti economie di scala, oppure è richiesta per realizzare il coordinamento efficace di molteplici attori distribuiti sul territorio, ovvero qualora gli shock (crisi economiche, emergenze ambientali, sanitarie) che investono una comunità locale possono essere superati attraverso l’intervento solidaristico del centro».

Commercio con l’estero

Tra le materie che secondo la Consulta non possono essere oggetto di devoluzione c’è il «commercio con l’estero», per la «competenza esclusiva dell’Unione europea e la politica commerciale comune. Pertanto li spazi lasciati agli Stati membri sono residuali».

Tutela dell’ambiente

Analogamente, per quanto riguarda la «tutela dell’ambiente», si tratta di una materia in cui predominano le regolamentazioni dell’Unione europea e le previsioni dei trattati internazionali, dalle quali scaturiscono obblighi per lo Stato membro che, in linea di principio, mal si prestano ad adempimenti frammentati sul territorio.

Energia

Ancora più marcati sono gli ostacoli al trasferimento di funzioni concernenti la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Si tratta, infatti, di una materia disciplinata dal diritto eurounionale in funzione della realizzazione del mercato interno dell’energia, della tutela del consumatore e della sicurezza energetica.

Porti e aeroporti

A conclusioni simili si arriva anche pe

Riproduzione riservata © il Nord Est