Caso Almasri, Forza Italia rispolvera l’immunità ma FdI teme l’effetto boomerang

Berlusconiani e Lega spingono per discutere subito dello scudo anti-giudici per i parlamentari, Meloni invece non vuole distrazioni: meglio concentrarsi sulla riforma della giustizia

Carlo BertiniCarlo Bertini

Stamattina, mentre in sala stampa alla Camera la Fondazione Einaudi presenterà una proposta per reintrodurre l’immunità parlamentare (con la benedizione di Forza Italia), nell’emiciclo di Montecitorio entreranno ben due ministri, non uno: per difendere il pasticcio all’italiana con cui è stato rimandato a casa il torturatore libico e che ha portato alla messa in stato di accusa di mezzo governo. Lo scontro con le opposizioni è assicurato, quello della premier con i magistrati va già a gonfie vele. Ma potrebbe non sortire benefici effetti, malgrado Giorgia Meloni sia convinta di avere dalla sua il favore popolare.

Se nel mondo si discute delle rivoluzioni trumpiane e da noi di immunità parlamentare, è comunque sintomo di una politica in affanno. Che invece di guardare avanti, preferisce voltare la testa all’indietro. Così è con ogni evidenza scorrendo il florilegio di rappresaglie e minacce mosse dall’interno della maggioranza di centrodestra contro le toghe. Senza che al centro dell’agenda politica vi siano invece questioni più pregnanti, come l’economia che ristagna e nuovi pesanti dazi sui nostri prodotti che incombono.

E invece: dal ritorno allo scudo penale abolito nel 1993, a una commissione d’inchiesta sulle malefatte dei giudici, ecco le nuove idee su cui i partiti di centrodestra si stanno accapigliando, divisi sul da farsi. Con Forza Italia e Lega che battono sul tasto dell’immunità totale dei politici e il partito di Meloni che punta sulla riforma della Giustizia. «Perché divagare dalla separazione delle carriere significa distogliere l’attenzione da ciò che serve agli italiani», frenano i meloniani. Ma niente, gli alleati non ci sentono da quell’orecchio: «Non è un tabù, non ci può essere un potere dello Stato che prevale su un altro», si scalda il capogruppo degli azzurri in commissione Giustizia, Tommaso Calderone. «Nessuno scudo, l’immunità era già in Costituzione», è il controcanto del salviniano Armando Siri.

Ebbene: sono passati trentatré anni e forse qualcuno ricorda cosa successe nel Paese quando il Parlamento negò l’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Un putiferio. L’Italia esplose e la protesta degenerò fino al disdicevole episodio delle monetine lanciate al leader socialista. E malgrado l’astensione abbia raggiunto il 50%, segno di una scarsa empatia verso i politici, due partiti di maggioranza vogliono rispolverare quella sorta di scudo penale in vigore prima del 1993 che rendeva gli onorevoli degli Intoccabili.

Sull’onda del principio del fumus persecutionis, ovvero della possibilità di una eventuale persecuzione dei giudici a carico di uno degli eletti dal popolo, per motivi politici legati alle sue idee. Uno scudo figlio della separazione dei poteri: alla totale autonomia dei magistrati, nel 1947 i Costituenti vollero giustapporre una totale autonomia dei parlamentari, ritenendo giusto fermare l’azione dei pubblici ministeri sul portone di Montecitorio, in attesa di uno speciale permesso a varcarlo.

Nel 1993, sull’onda della maxi inchiesta Mani Pulite, il Parlamento dovette approvare una (allora doverosa) restrizione dell’articolo 68 della Costituzione. Oggi però Forza Italia e Lega vorrebbero che i parlamentari fossero protetti dallo scudo anti-giudici: per evitare, dicono, che un governo sia colpito da un avviso di indagini per la denuncia di un privato cittadino. Dimenticando che spetta al Tribunale dei ministri dare il via libera a procedere nei riguardi di membri del governo e che quindi l’immunità per i parlamentari in questo caso non c’entri nulla.

Tutto ciò tradisce paura di inciampi: del resto questo governo ne ha di grattacapi: anche Daniela Santanché, se ci fosse stato lo scudo, magari non sarebbe finita sotto indagine. La regola attuale – è bene chiarirlo - prevede l’autorizzazione del Parlamento per richieste di arresto nel corso delle indagini e per l’utilizzo delle intercettazioni, ma non per l’avvio del procedimento penale, comprese indagini preliminari; e neanche per la richiesta di arresto in caso di sentenza definitiva. Se Fi e Lega la spuntassero, servirebbe passare da un voto delle Camere anche solo per avviare un’indagine su un parlamentare.

Di sicuro non se ne farà nulla, ma il solo parlarne potrebbe rivelarsi urticante per gli elettori, regalando così un’arma alle sonnolente opposizioni, con il rischio di un effetto boomerang quando ci sarà il referendum sulla riforma della Giustizia. E potrebbe costituire quel di più in grado di far venir meno la pazienza biblica del capo dello Stato, finora silente.

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