Il docente: «L’arresto di Cecilia va letto nel contesto geopolitico, l’Italia ora è più dura»
L'analisi dell’italo-iraniano Pejman Abdolmohammadi, professore di Relazioni internazionali all'Università di Trento: «Momento di massima frizione»
«L’arresto di Cecilia Sala va letto nel suo contesto geopolitico. La Repubblica islamica sta vivendo il suo più difficile momento storico». Ne è convinto Pejman Abdolmohammadi, docente italo-iraniano di Relazioni internazionali del Medio Oriente all’Università di Trento e ricercatore all’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale).
Professore, sono le storie che stava raccontando Sala (patriarcato, diritti e geopolitica) da Teheran il motivo per cui è stata arrestata?
«Penso sia importante il contesto geopolitico. La Repubblica islamica sta perdendo tutti gli alleati nell’area, la Siria di Assad, Hezbollah, Hamas, ora sta perdendo pure gli Houthi dello Yemen, e gli alleati in Iraq. È stata per molti anni cullata da molti governi europei e dall’Ue stessa, che sia sotto l’Alto rappresentante Federica Mogherini sia sotto Josep Borrell ha chiuso gli occhi più volte sulle violazioni dei diritti civili, dei diritti delle donne e dei giovani. Ora la musica è cambiata. Il governo Meloni è stato più attento ai diritti in Iran rispetto a quanto è accaduto in passato. Questo probabilmente ha alimentato un alert anche sui giornalisti e le persone provenienti dall’Italia. Penso che quello che è successo a Cecilia rientri in questo quadro. Ovviamente non conosciamo i dettagli ma il gioco geopolitico sembra questo».
C’è speranza per una sua rapida liberazione? La società civile può fare qualcosa?
«Cecilia è una grande professionista, una mente brillante del giornalismo mediorientale. È capitata in una situazione particolarmente ingarbugliata. Io penso che la società civile sia sempre utile, ma oggi la partita si gioca a livello di diplomazia. L’Italia ha una grande diplomazia e se ci sono strade per una sua rapida liberazione saranno percorse. Purtroppo non credo che in questo caso la pressione della società civile possa avere riscontri. Certo la situazione non è disperata, Sala ha una protezione maggiore in quanto giornalista e in quanto italiana. Però se è vero che è stata una settimana in isolamento nel carcere di Erin la situazione è molto grave».
È del 24 dicembre la notizia che l’Iran ha deciso di togliere il blocco a Whatsapp e a Google Play. Un episodio di un podcast di Sala era proprio sul blocco dei social media nel Paese. Va visto come un segno di distensione?
«Non c’è nessun ammorbidimento da parte della Repubblica islamica. È un sistema in massima frizione, sta rischiando di crollare sia dall’esterno sia dall’interno. Ora sta facendo piccole concessioni per riprendere il controllo. È qualcosa che abbiamo già visto in passato: nei momenti di difficoltà dava piccole concessioni per poi richiudere. Siamo in un nuovo paradigma, è cambiato il mondo anche con l’arrivo di Trump e la sua politica molto diversa nel Medio Oriente, a cui tutti si stanno allineando. Nel nuovo paradigma il Medio Oriente dovrà diventare stabile e aperto al mondo, non c’è più spazio per arretratezze. Il regime della Repubblica islamica non può sopravvivere. In Iran c’è una società laica e progressista che è intrappolata dentro un sistema arcaico e tribale che sta facendo gli ultimi sforzi per sopravvivere. Dobbiamo ricordarci che però la Repubblica islamica non è rimasta al potere da sola ma grazie al nostro sostegno e a quello di Biden. Paghiamo il prezzo delle nostre scelte».
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